1994 agosto 28 Irene la cattolica
1994 agosto 28 – Irene la cattolica
Irene Pivetti ha sempre suscitato in noi simpatia, anche quando infilava gaffes o sosteneva tesi da
sant’uffizio. Non si fermava nemmeno davanti all’arcivescovo, il cardinale Martini, se si trattava di
dire la sua.
Poco più che vent’enne, qual campione di laicità liberale che fu Piero Gobetti spiegava: “ E’ bene
sentirsi più soli quando soli vuol dire distacco dalla leggerezza e dall’insincerità”. Irene la cattolica
non teme la solitudine per sincerità.
Anche la sua elezione a Presidente della Camera ci sembrò una bella cosa. Proprio perché
giovanissima, perché donna, perché inesperta: nei momenti di transizione, azzerare qualche
esperienza aiuta la causa del cambiamento a scapito delle nomenklature.
Appena eletta, il presidente Pivetti “s’inchinò alla Costituzione” ma affidò l’Italia a Dio. Secondo il
filosofo storico Seneca, in ogni uomo di valore abita un Dio, anche se non si sa quale. La Pivetti lo
sa benissimo: il suo è il Dio di San Paolo, del Nuovo Testamento, dei cristiani e cattolici.
Ieri a Rimini mostrava, appuntata sul tailleur bianco, una spilla d’oro con la croce della Vandea. La
regione della Francia occidentale che, due secoli fa, cattolica e rurale, si ribellò allo Stato dei balzelli
e dei Lumi pagando con un massacro di popolo.
Irene Pivetti non dissimula nulla della sua fede. Si richiama alle reliquie. Consiglia il catechismo e i
sacramenti. Invita all’impegno ecclesiale. Aborra l’emarginazione del sacro dalla storia. Guarda a
questa nostra società con l’occhio del sillabo di Pio IX contro tutti gli “errori” del pensiero moderno
che oggi si direbbe pensiero debole.
Da laici, non ci scandalizziamo minimamente. Riflettiamo, questo sì, domandandoci perché
emergano ora figure di “cattolici candidi” come li definisce il vaticanista della “Stampa”, Domenico
Del Rio. La Pivetti, o Scalfaro che in Parlamento si rivolge alla Madonna.
Le risposte possono essere due. L’una politica, l’altra culturale.
Il fallimento della Dc, è la prima, e a proporla è la stessa Pivetti quando accusa i demo-cristiani di
aver “scristianizzato” la società mandando i cattolici all’”esilio” dalla politica. Anche con i suoi
dogmi e il suo candore integralista, Irene la cattolica mette a nudo un trauma, un disagio, una voglia
di riappropriazione di ruolo, anche un ritorno di identità. Il tono è orgoglioso, non piagnone; semmai
revanchista, non subalterno.
Morta la Dc, dovrete fare i conti con noi. Questo sembra voler dire la Pivetti, ma spiazzando decenni
della convenzione secondo cui anche la presenza dei cattolici doveva osservare in politica regole
rigorosamente laiche.
Molto probabilmente, il fenomeno è anche culturale. Se non siamo esuli, siamo tutti un pò raminghi
al cospetto di un’unica cultura oggi efficiente: quella degli spot, dei fustini, di beautiful, del prendi
tre e paghi due. La cultura che si arresta sulla soglia dell’oggetto, e ne muore.
Laici o cattolici, destre o sinistre, tutti seguiamo con fatica una memoria per il futuro. Chi porta croci,
chi ragioni; chi fede, chi dubbi. Purchè nel segno della tolleranza.