1994 Dicembre 2 Rigore sì, ma non senza l’equità
1994 Dicembre 2 – Rigore sì, ma non senza l’equità
Primo Amato, secondo Ciampi, terzo Berlusconi: sono i governi cui è toccato l’ingrato compito di
frenare il debito pubblico, la bomba ad orologeria dell’economia.
Nel nome del rigore, prima o poi era inevitabile approdare al capitolo pensioni. A parte gli scandali
( si smetteva di lavorare con pochi anni di contributi), le truffe ( su vasta scala tra gli invalidi) e i
privilegi ( riservati ad alcune categorie), nessuno nega più la necessità di una riforma.
Così come sta, il sistema previdenziale non garantisce più il futuro. Né dei pensionati né dei
giovani.
Il rigore ci vuole, non ci sono santi. Ma il disastro ereditato da decenni di malgoverno richiede
anche che i sacrifici tengano conto dei diritti legittimi, del lavoro di una vita, dei soggetti più deboli,
in un Paese che paga ancora tanta evasione fiscale, tanta elusione, tanta furbizia finanziaria.
Qui il rigore ha incontrato l’equità, con contorno di falchi, insofferenti della fatica che impone ogni
passo della democrazia. La democrazia effettiva, non quella a parole per i giorni con la fanfara.
Questo è un buon accordo, perché ha vinto la ragione. Berlusconi ha avuto la saggezza di
riconoscere nella protesta, nel sindacato e nell’opposizione più responsabile, non il nemico di classe,
ma un pezzo importante della società. Non una seccatura, ma una voce cui Bossi ha dato volume
nella maggioranza come Scalfaro nelle Istituzioni.
Le democrazie forti si possono permettere anche scontri frontali e prolungati, basti pensare ai
minatori inglesi. Noi no. Sappiamo produrre e lavorare, dobbiamo ancora imparare ad amministrare
lo Stato: perciò siamo tanto deboli di fronte alle grandi questioni sociali.
Per uscirne, serve il coraggio di lavorare insieme. L’equità è un valore etico, precede il rigore
economico. O, meglio, il rigore che dura nel tempo e convince è soltanto quello che produce
giustizia sociale.
Il miglior capitalismo lo sa da un pezzo.