1995 agosto 13 Vogliamo sapere chi è il responsabile
1995 agosto 13 – Vogliamo sapere chi è il responsabile
Allora era presidente Cremonese, oggi Galan, ma vice-presidente della giunta della Regione Veneto era
Lia Sartori, che oggi presiede il Consiglio. Per il problema che poniamo, questo tipo di continuità renderà
la cosa più comoda. Alla fine del ‘90, il Veneto decise l’aumento della tassa del bollo auto, puntando a
rastrellare 150 miliardi. Nel giustificare una prima, rudimentale forma di autonomia impositiva, la
Regione garantì che il gettito aggiuntivo sarebbe stato destinato, oltre che alla formazione professionale,
alla sicurezza stradale. E qui entra in campo Lia Sartori. Nell’illustrare il disegno di legge, disse
testualmente: «La rete stradale del Veneto è vecchia, mal ridotta e lasciata dall’Anas in condizioni
inaccettabili: nella manutenzione sono investiti una decina di miliardi all’anno, una cifra ridicola. E una
puntuale indagine che abbiamo effettuato nella scorsa legislatura ha consentito di individuare ben 300
punti neri delle strade, luoghi dove si muore non perché l’autista è ubriaco, ma perché l’incrocio è mal
segnalato, perché c’è la strettoia in piena curva, perché la circonvallazione è ormai invasa dall’abitato. E
a fronte di un esborso modesto di poche migliaia di lire all’anno da ciascun automobilista, la Regione
potrà raccogliere una sessantina di miliardi e obbligare l’Anas a una convenzione che in 5 anni risolva il
problema della viabilità». Oplà, eccoci qua, cinque anni dopo – tanti ne indicava la Regione – a chiedere
quanti dei denari raccolti a diverso titolo dal 1991 in poi sono stati realmente destinati alla sicurezza
stradale, quanti dei 300 punti neri sono stati eliminati, se esista un monitoraggio della circolazione, quali
sinergie abbiano messo in campo Regione, Province e Comuni per rendere più sicure le strade. Non
siamo nati ieri. Conosciamo a menadito le nostre imprudenze, disattenzioni, idiozie da Schumacher di
infima serie. Sappiamo quanta incoscienza anche alimentare si sieda troppo spesso al volante e quanta
violenza sociale corra con certi Tir abituati a muoversi tra i pigmei. L’omicidio colposo sembra spesso
un’imputazione persino troppo mite. Ma esistono, ed è intollerabile, anche la morte ambientale,
l’assassinio burocratico, la gente mandata al macello su strade-far west, senza cura, senza prevenzione,
senza strumentazione, un traffico da anni ‘50 e la vita affidata al santo protettore. Quanto accaduto
qualche giorno fa a Motta di Livenza è da galera. Mamma, papà e piccolo Matteo – dopo una lunga serie
di precedenti – sono morti per la colpevole, mancata precedenza di un camion alla loro auto, ma
soprattutto per l’assenza di un semaforo, invano atteso dal 1984 (!), dimenticato in qualche ufficio,
sottoposto al solito balletto di competenze, separato tra Provincia e Comune nelle spese di
«realizzazione» e di «attivazione», oggetto di un esposto alla procura di Treviso, finalmente installato
ma acceso a furor di popolo soltanto 32 ore dopo l’ennesimo schianto. Una beffa. Tre vite in uno dei tanti
«punti neri» disseminati su un territorio – il Nordest – cui ogni minuto si chiede lavoro, efficienza,
produzione, mobilità, rapidità, primati economici in Italia e in Europa senza riuscire a restituirgli in
cambio nemmeno uno schifoso semaforo da 50 luridi milioni. Questo non lo chiedo a Lia Sartori, ma al
sindaco di Motta di Livenza. Si può sapere chi e quale scartoffia hanno sulla coscienza quei morti? Chi
è il titolare della pratica assassina mai mandata a compimento? Se in 11 anni non si realizza un semaforo
giudicato indispensabile dai tecnici, quando mai riusciremo a far funzionare il nostro Paese? All’incrocio
di Motta di Livenza incontriamo la peste dell’intero sistema: l’irresponsabilità burocratica. Può anche
uccidere.
13 agosto 1995