1995 agosto 15 Siamo destinati male
1995 agosto 15 – Siamo destinati male
Parola del Professor Tremonti, ex ministro delle Finanze: in Italia esistono tutt’ora 200 tasse e 3200
norme fiscali. Regolati sulla carta fino all’ultimo centesimo, dovremmo essere il Paese dell’Equità.
Invece no, esibiamo il più basso indice di credibilità dello Stato e nello Stato: il massimo della fiscalità
coincide con il minimo della verità contributiva. Invochiamo regole e ne abbiamo fin troppe, ma
fanno soltanto scena.
Nonostante la macchina burocratica mostruosa, scarseggiano i controlli: quando si fanno, assumono
non di rado il volto della vessazione.
Manca in Italia la cultura del contribuente. Il fisco delle gabelle ha alimentato via via la guerra tra
categorie.
Il lavoratore dipendente è virtuoso alla fonte, assiste impotente al sequestro della busta paga. Quando
può, si vendica con il doppio lavoro o con l’esercizio abusivo di attività d’ogni tipo: attraverso il
“nero” si considera risarcito, senza crisi di coscienza.
Il lavoro autonomo ha scarsissima reputazione fiscale, ma rivendica alcuni alibi non di poco conto in
un Paese che vanta quasi 5 milioni di imprese, la grande maggioranza delle quali piccole, con una
quota altissima a carattere microfamiliare. Il fisco pretende da queste partite Iva miniaturizzate lo
stesso regime, applicato alla Fiat, cioè alla grande azienda gestita da esperti al computer.
Per decenni intere categorie professionali non hanno versato una lira. Leggendo sui giornali gli
elenchi delle dichiarazioni dei redditi, l’operaio scopre tutt’ora che il sicuro miliardario della casa
accanto risulta nullatenente o quasi.
Lo scandalo dei grandi numeri Iva ferisce, ma il confronto ravvicinato tra cittadini alimenta un rancore
vicino alla violenza. Centralista dalla testa ai piedi, il ceto politico si è ben guardato dal riformare il
fisco alla radice, collegandolo al territorio, alla visibilità della tassa e della sua destinazione.
Su questo piano tutti i governi sono uguali, uguali nell’impotenza e nella furbizia. Riforme zero, in
compenso una serie infinita di condoni, sanatorie, concordati, tutti fonte di discredito per lo Stato e
di doppia moralità per i contribuenti: premiati i lazzaroni, puniti gli scrupolosi, cioè i “fessi”.
L’inefficienza del fisco fa salire le aliquote, con un giro vizioso dal quale diventa sempre più difficile
uscire. Già vent’anni fa un altro ex ministro delle Finanze, Bruno Visentini, sosteneva che l’evasione
era il solo modo per non far fallire molte aziende! Oggi il reddito d’impresa è tassato tra il 65 per
cento e il 70 per cento, senza paragoni in Europa. E il Sud, come ha osservato Mario Deaglio sulla
“Stampa”, deve anche pagare la tassa occulta del pizzo alla mafia.
Questi sono i veri drammi italiani, che toccano il destino di ciascuno. Può accadere di tutto, anche
che prima o poi ci spariamo addosso, in un Paese che non garantisce un minimo di equità nei tributi.
Quando, per coprire le sue croniche inadempienze, il fisco finisce con il punire proprio chi crea
ricchezza con il lavoro o il capitale, non ci sarà ripresa della lira che tenga. Siamo destinati male, a
brutte sorprese. Ma interessano poi i veri problemi alla politica fatta di parole, Tv, paparazzi e narcisi?