1995 gennaio 25 Gli scritti restano
1995 gennaio 25 – Gli scritti restano
Questa che ci accompagna dalla prima alla seconda Repubblica passa per la «rivoluzione pacifica» e non
finisce mai, anche se dura da cinque anni! Sono sempre un po’ paradossali le rivoluzioni all’italiana.
Giovanni Spadolini ha passato una vita a spiegare che persino il termine Risorgimento non aveva né capo
né coda dal momento che con l’Unità d’Italia non ri-sorgeva un bel nulla: uno Stato italiano non era
infatti mai esistito. Sorgeva allora per la prima volta; ciò che risorgeva era soltanto la comunità della
lingua di Dante e San Francesco. La rivoluzione fascista del 1922 finì in pochi giorni… prima di
cominciare. Invece di sparare, le truppe del Re portarono pentole di minestrone caldo alle camicie nere
in marcia su Roma, mentre Mussolini rassicurava a Milano l’arcivescovo, gli Agnelli e i Pirelli, i massoni
dai quali ebbe un assegno di sostegno di tre milioni e mezzo. Il 29 ottobre telefonò a Rachele di
preparargli la valigia di cartone: «Vado a fare il Governo», disse alla moglie. E per il regime parlamentare
fu ben presto notte fonda. Nelle parole e nei fatti, le nostre «rivoluzioni» suscitano sempre ambiguità. La
mezza rivoluzione; un ibrido tra rottura e continuità, un sostantivo abusato anche se, come facciamo oggi,
lo si aggrega all’aggettivo «pacifica». La rivoluzione degli anni ‘90 si è nutrita di plebisciti (i
referendum), di picconate (il Quirinale), di strappi (il PCI), di insurrezioni disarmate (Lega Nord), di
manette (Mani Pulite), di partiti defunti (Dc, Psi, eccetera), di cattolici in libertà (con l’imprimatur della
Chiesa), di bancarotta economica (il debito pubblico) e di maggioritario (la legge elettorale). È anche
rivoluzione dello spot politico (Berlusconi) e delle svolte ideologiche. La svolta per eccellenza è quella
di Gianfranco Fini, il bolognese. La sua rivoluzione consiste nel far morire una doppiezza, un po’
democrazia e un po’ nostalgia, un po’ razzismo e un po’ perbenismo, post-fascismo in salsa liberale,
l’autoritarismo con il presidenzialismo. L’Msi era Destra di testimonianza; Alleanza Nazionale sarà
Destra politica. Fini ha dimostrato i riflessi di una volpe nel cogliere l’attimo. C’è chi sospetta
trasformismo, opportunismo, abilità senz’anima sotto la patina telegenica del bravo ragazzo pieno di
buonsenso, di amor di Patria e di sentimenti liberali. Sta di fatto che in quest’ultimo anno Fini è sembrato
parente di Cossiga più che di Almirante! Una lunga, pacata, infrangibile esibizione di ragionevolezza, un
monumento all’affidabilità della sua neo-Destra senza gagliardetti, saluti all’aria e cari estinti. Le parole
volano, gli scritti restano e pesano, come le «Tesi» elaborate per i cinque giorni di Congresso. Non si
può fingere di non leggere il seguente storico passo: «è giusto chiedere alla Destra italiana di affermare
senza reticenza che l’antifascismo fu momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori
democratici che il fascismo aveva conculcato». O il seguente: «L’odio razziale è una forma di
totalitarismo». Dopo mezzo secolo, la Destra lascia Predappio. Se andrà fino in fondo, potrà fregiarsi
della sua «rivoluzione». Meglio per tutti.
25 gennaio 1995