1995 novembre 26 Quella strana coppia

1995 novembre 26 – Quella strana coppia

Non si conoscevano di persona, era il loro primo faccia a faccia. Fini, bolognese, 44 anni, l’uomo che
ha portato la destra fuori dal ghetto; Cacciari, veneziano, 51 anni, l’intellettuale di sinistra formatosi
sui temi del lavoro, oggi sindaco.

Esemplari di un ceto politico affidabile, che ci manca come il pane. Pronti anche, nel nome dei
problemi concreti, a superare le angustie del ping pong tra “destra” e “sinistra”.

A Vicenza, la piccola e media industria ha chiesto loro che cosa si può fare per liberare l’Italia dalla
foresta amazzonica della burocrazia.

Roba da non credere: l’onorevole e il professore si sono scrupolosamente attenuti al tema, senza
mollare l’osso.

Mai una scivolata da teatrino, mai uno slalom nella politica delle parole. Segno che, nonostante tutto,
si può ancora affrontare a viso aperto la politica delle cose.

Fini ha esordito mettendo in guardia dall’effetto marmellata, tipico delle fasi di transizione, quando
sembra che tutte le posizioni si confondano. Il richiamo a mettere le carte in tavola con chiarezza era
più che opportuno, e Cacciari non è proprio tipo da sottrarsi.

Ma l’incontro ha preso un’altra strada. Più Fini e Cacciari andavano al cuore del problema, più le
distanze tra i due si accorciavano, più il linguaggio si accordava.

Il che ha confermato con tutta evidenza una nostra tesi di fondo. La riforma dello Stato è la madre di
tutte le riforme, una necessità talmente impellente da spiazzare a questo punto gli schieramenti.

Oggi lo Stato forte è uno Stato leggero. Ha bisogno di perdere poteri per esercitare autentico potere
in un mondo che, economia alla mano, premia chi sa meglio organizzare la propria amministrazione
pubblica.

Quando la burocrazia cessa di produrre servizi e anzi li deprime, uno Stato rischia l’autocombustione.

Liquidando ogni ingombrante ascendenza, Fini ha fatto suo un dogma liberista: “Lo Stato faccia
poche cose ma bene”. E Cacciari per non lasciare penombre, ha ripudiato anche il decentramento, a
vantaggio del federalismo puro e semplice.

Come dire. Il decentramento pone sempre lo Stato in un ruolo di elargitore di funzioni; soltanto il
federalismo rende effettiva la rivoluzione nei poteri e nelle responsabilità.

Prendo un dato da un libro che consiglio a tutti, “Manifesto per un Paese normale” di Elio Veltri ex
sindaco di Pavia. Tra le tantissime anomalie, ricorda ad esempio che il ministero delle Finanze ha
70mila dipendenti, il 70% dei quali si occupa soltanto di scartoffie, procedure, inghippi formali.

Oramai non è più questione di aliquote fiscali, ma di un fisco che va radicalmente ridistribuito sul
territorio.

La “macchina” può più degli eletti dal popolo. Ha spiegato Cacciari: “Anche i funzionari bravi, più
di quanti si pensi, sono paralizzati”. Ha concluso Fini: “Il problema non è chi andrà a Palazzo Chigi,
ma quale Stato vogliamo per i nostri figli”.

Mai c’è stata tanta coscienza del dramma italiano. Bisogna incalzare il ceto politico, stargli addosso
per le riforme: in fondo, Fini e Cacciari hanno ratificato che la protesta del Nordest è sacrosanta. Un
servizio reso al Paese, non un brontolio egoista.