1995 ottobre 8 Ma di che avete paura
1995 ottobre 8 – Ma di che avete paura…
«Se si stacca il Nordest», ha titolato ieri in prima pagina il Corriere della Sera, chiedendosi allarmato:
«Di che segno è la rivolta del Nordest?» L’editoriale, a firma di Guido Gentili, prima stravede («Un pezzo
d’Italia che discute ormai come se fosse fuori dall’Italia stessa e si sentisse parte di un’altra cosa») e poi
fa il sermone («Può essere forte la tentazione del Nordest di alzare anche il tiro politico… In questo caso
si aprirebbe una questione settentrionale fortissima»). Pare di sognare. La questione settentrionale è già
aperta da un pezzo e non riguarda soltanto il Nordest, ma il pazzesco squilibrio tra Nord e Sud. Il Nordest
ha semmai il merito storico di tenere la questione in prima pagina, rifiutando di farsi distrarre dal pantano
della politica politicante, che da un lato favorisce i poteri forti delle superGemina di turno, dall’altro
rivernicia con una spruzzatina di nuovismo i ceti dirigenti lasciando amministrazione, legislazione,
burocrazia e Stato così come stanno. Cioè al massimo dell’inefficienza. Il «Corriere», non il solo a dire
il vero, teme che il Nordest alzi «anche» il tiro politico. Ma è esattamente questo che deve fare il Nordest,
uscire dal qualunquismo della produzione (quanto siamo bravi) per diventare avamposto del riformismo
nazionale evitando la frustrazione economica (quanto siamo fessi). È davvero il colmo che si imputi al
Nordest di discutere come se fosse fuori dall’Italia stessa. Ma i grandi gruppi, i salotti buoni, i guru
dell’economia, i vari Censis e uffici-studi forse non predicano da anni che bisogna entrare in
competizione, aprirsi all’Est, prepararsi alla sfida globale, insomma pensare-Europa per ridurre al minimo
l’handicap rappresentato dall’Italia del disservizio? Questo chiede il Nordest mettendo insieme una
miscela esplosiva, «bollente» come l’ha giustamente definita l’altra sera a Mestre il prof. Giulio
Tremonti. Certo, bollente perché il capitalismo diffuso, l’economia sociale di mercato, lo sterminato
mondo del lavoro autonomo, la micro azienda familiare, tutto questo reticolo non ne può più del fisco
alla Fantozzi, della manomorta del centralismo, di uno Stato che – unico in Europa – è riuscito a scatenare
la guerra tra contribuenti: i dipendenti quando protestano con il lavoro nero, gli autonomi quando
evadono per legittima difesa. Il Nordest è anti-secessionista: in Veneto la stessa Lega, su questo punto,
la pensa in modo opposto da Bossi. Proprio perché qui il senso dello Stato tiene miracolosamente, la
protesta punta a cambiare alla radice lo Stato: ne è oltre, non contro. Federarlo per salvarne l’unità, altro
che «tentazioni». Non per nulla, accanto ai ceti produttivi, prende corpo la protesta istituzionale: dei
sindaci, il partito senza partito dei sindaci, i Comuni, vale a dire il punto di contatto del cittadino. È
strano, molto strano, che ci si allarmi per il Nordest proprio quando qui si sta giocando non una partita
locale ed egoistica ma la sfida contro il cancro del nostro Paese: lo Stato dello spreco, dei ministeri, della
spesa, dei burocrati, dei corrotti. Più devastante della prima Repubblica, e di molto, è il primo Stato:
inalterato dall’unità al fascismo e oltre, centrale oggi più di ieri, poco o niente europeo. Questo sì «fuori»
di noi, da svuotare di poteri.
8 ottobre 1995