1995 settembre 10 O i sindaci o nessuno
1995 settembre 10 – O i sindaci o nessuno
Prima o poi bisognerà votare, su questo non ci piove, ma c’è un fatto nuovo: agli italiani importa sempre
meno. Perché? Se il governo tecnico non ha respiro, la politica promette peggio, infinitamente peggio.
Transitano in televisione sempre le stesse facce con il loro coriandolo di potere. Imperversano Casini e
Bottiglione: se insieme arrivano al 4% del consenso popolare è già tanto, eppure l’Italia sembra nelle
loro mani… Il «ritorno della politica»: quale politica di grazia, quali progetti, quali riforme? Silvio
Berlusconi ritiene che per lui sarà «giocoforza» candidarsi soltanto a patto che si elegga un presidente
della Repubblica che sia anche capo del governo, a metà strada tra la Casa Bianca e Palazzo Venezia.
Bell’esempio liberale della politica, o lo Stato sono io o non ne vale la pena. Ma la sinistra è peggio.
Almeno Berlusconi parla schietto e si mette in gioco. La sinistra gioca sistematicamente di rimessa, alla
costante ricerca di un santo protettore, che oggi identifica in Scalfaro.
Convinta di logorare Berlusconi, finisce con lo spegnere Prodi. Di fronte allo scandalo delle case di
favore, risulta patetica, presa con le mani nella marmellata, senza coraggio. Chissà cosa inventerà quando
l’inchiesta sulle Coop rosse busserà a Botteghe Oscure. No, questa politica non oscurerà i tecnici, li farà
semmai rimpiangere. Non per nulla ogni volta che Dini appare in pubblico si ha l’impressione di aver a
che fare con un gigante. Parla poco e di rado, con aplomb, seguendo il filo di un ragionamento. Si può
concordare con lui o dissentire, ma si ha sempre a che fare con uno che sa quel che dice e che lavora per
farcela in mezzo a un marasma di mediocri. Non è un Churchill ma rischia di sembrarlo per la pochezza
altrui. Se la politica in senso stretto non ritorna subito a Palazzo Chigi, dipende dalla sua non-politica.
L’Italia ha fame di cambiamento, di riforme, di sterzate anche brusche in ogni settore, come dimostrano
gli scandali che usciranno uno dietro l’altro dai consigli di amministrazione, dai ministeri, dai feudi di
potere, cioè dal cuore stesso della gestione pubblica. Il bello è che non succederà assolutamente nulla:
qualche graffio sulla crosta, presto rimarginata, e poi avanti come prima o quasi. Roma ruminerà tutto,
anche le migliori intenzioni; Roma non sarà mai riformista, mai, perché non si è ancora vista una
burocrazia inefficiente farsi propulsore del cambiamento dello Stato. Mai. Quando parla di
«indipendentismo» del Nord, Bossi crede di mostrare i muscoli; al contrario confessa una totale
debolezza, culturale e storica. Non si riforma lo Stato rinunciandovi; Roma, come simbolo della
Macchina che non funziona più, va conquistata svuotandola di tutti i poteri che i Comuni e le Regioni
possono gestire in proprio. Non c’è bisogno che «ritorni», la solita, vecchia politica. Bisogna
rivoluzionare la politica con obbiettivi del tutto nuovi. Per far questo, non si può che partire
dall’autonomia radicale, dura, decisa, ma federale & unitaria. Solo i sindaci – solo che lo vogliano in
tanti – hanno il pallino in mano assieme alle Regioni forti, le aree d’avanguardia, come il Nordest. Oggi
c’è troppa inerzia, troppo quieto vivere, troppo conformismo. Attenzione. La gente è stanca, non confusa.
10 settembre 1995