1996 aprile 28 Il peggio non è Sgarbi
1996 aprile 28 Il peggio non è Sgarbi
Vittorio Sgarbi era candidato a Pordenone, e ha perso, anche se il meccanismo elettorale dei “resti”
lo ha poi ripescato. A batterlo a colpi di preferenze è stato un leghista, Edouard Ballaman.
Verificati i risultati del voto, Sgarbi lancia ai cronisti lo sgarbo quotidiano: “Ballamon scrive la
Repubblica, Ballerman lo chiama il Corriere. Pensate, nel mio collegio ha vinto un candidato di cui i
giornali non conoscono neppure il nome”. Al geniale critico d’arte prestato alle ire della politica, non
passava nemmeno per l’anticamera del cervello che a Ballaman fosse bastato conoscere (bene) il
territorio per battere un concorrente (fin troppo) conosciuto ma via etere.
Intervistato l’altro giorno da Gian Antonio Stella sul “Corriere”, Sgarbi ha precisato il pensiero con
il tono meditato che si conviene a cinque giorni dal 21 aprile…Gli elettori veneti li ha definito così:
“Sono dei deficienti. Egoisti. Stronzi. Destrorsi. Unti. Razzisti. Evasori. Hanno scelto la Lega?
Complimenti. Si ritroveranno ad essere governati dai meridionali democristiani e dai comunisti. Gli
sta bene. Godo al pensiero di come al Nordest arriverà ora la devastazione fiscale”. Stella è collega
affidabile, se così ha riportato, così è.
I lettori si stupiranno se non me la prendo con Sgarbi. Un po’ perché mi è simpatico, a tal punto che
per principio non seguo mai, mai, la sua rubrica televisiva: l’unico modo per conservargli la simpatia.
Ma la ragione più seria è un’altra. Sgarbi erutta parole da altri trattenute, scaglia lapilli di solito
incartati nei giornali, emette boati altrove compressi per opportunismo. Le sue sublimi stronzate ci
servono perché, almeno, hanno il pregio di uccidere sul nascere le perifrasi.
Meglio Sgarbi che ipocrisie, preferisco l’invettiva di Sgarbi alle giaculatorie ci chi, guardando a
Nordest, si sente “preoccupato” e, ormai da anni e anni, continua a non capire, equivocando su tutto,
sulla Lega, sulla protesta, sul fisco, sui ceti produttivi, sui sindaci, sull’idea di Stato, sulla rivoluzione
amministrativa invocata da Cacciari, su un territorio senza centro e senza capitale, senza cattedrali
industriali e senza cultura ministeriale, che si realizza in un modello flottante di economia, a plotoni
affiancati, affamato di servizi pubblici, cementato dalla cultura del lavoro, refrattario alla burocrazia
della spesa. Del Nordest continuano a non capire niente, soprattutto il senso del voto.
Ho letto un’analisi discutibile ma calibrata di Mario Pirani su “Repubblica”, dove ammonisce: “Il
problema del Nordest va, quindi, preso terribilmente sul serio.
La cultura politica dominante copre lo stagno, ignora le riforme, evita l’Europa, considera Roma le
città eterna di quel certo inestinguibile Potere. E allora ce ne curiamo noi Nordest, con una
mobilitazione permanente, culturale e politica. Laboratorio dello Stato che verrà, della Repubblica
Federale Italiana, di un Paese rifatto dalle fondamenta.
Per favore, non preoccupatevi, toglietevi le mani dai capelli e lavorate sodo, datevi a fare, cambiamo
insieme questo Stato delle mafie, dei debiti e dell’inefficienza che i giornali sbattono da anni in prima
pagina. Il Nordest li ha letti e, avendoli capiti, intende uscire dal guaio tanto puntigliosamente
descritto. Tutto qua.