1996 gennaio 11 A trazione anteriore
1996 gennaio 11 – A trazione anteriore
Non si erano imboscati né avevano scherzato! Il movimento dei sindaci del Nordest torna in campo,
semmai con le idee più chiare e più decise di prima. Si era dato una pausa per valutare la legge
Finanziaria. Da oggi, con gli appuntamenti già programmati di Belluno e Padova, entra nella sua fase
riformista. Quali riforme. I capitoli sono tanti; per chi punta ad amministrare meglio, c’è in Italia soltanto
l’imbarazzo della scelta, basta tirare in alto una monetina e farla ricadere, a caso, sul tavolo della
burocrazia. Negli ultimi mesi dell’anno scorso, i sindaci del Nordest approfondirono molto il tema degli
appalti e la legge 142, che per ora ha prodotto nei Comuni più illusioni che cambiamento: è probabile
che questi siano i primi dossier. Quali mezzi. L’opinione pubblica del Nordest ha seguito con
straordinario interesse – direi con passione – il movimento dei sindaci, avendo subito intuito che si
trattava di un fenomeno del tutto nuovo, liberato dalle gabbie di partito e tenace nel chiedere più
responsabilità. Ma si è anche domandata con quali mezzi i sindaci sarebbero riusciti a incrinare il cemento
dello Stato centralista, burocratico, delle 150 mila leggi, refrattario alle autonomie, lo Stato di nessuno.
Questo è il secondo tema: scegliere i mezzi, cioè le iniziative e le forme di lotta anche molto dura per
mettere a frutto la filosofia del movimento. Qualcuno ha cercato di fare il furbo, ma il Nordest non ci
casca. In simbiosi con il capitalismo e il lavoro delle piccole-medie imprese, nel cuore di un’area prima
contadina poi artigiana e industriale, il movimento dei sindaci rappresenta l’esatto contrario di un
brontolio populista, da pancia piena e ricca. Questo è un movimento istituzionale, oserei dire patriottico,
visto che si pone l’obiettivo di uno Stato che me riti il senso dello Stato, di un’amministrazione che
risponda ai cittadini, di Comuni che abbiano i mezzi effettivi per governare le comunità, di un federalismo
finale che rovesci dalle fondamenta la cultura politica di un Paese in questo momento senza politica.
Basta guardarci attorno, se abbiamo ancora stomaco e pazienza. Il Parlamento ridotto a mero gioco di
sopravvivenza; i partiti in fuga dalla realtà; le Istituzioni ciascuna costituzionalmente fuori ruolo rispetto
all’altra. Le stesse parole della politica si consumano come nei momenti più logori della prima
Repubblica: è il caso del termine «dimissioni» che Dini, pur apprezzabile per altri versi, ha svuotato di
ogni credibilità. Ci si dimette per non essere dimesso, anzi per insistere vanificando dimissioni realmente
dette ma solo virtualmente date. Corriamo un grave rischio di neo-qualunquismo di massa. Cioè finire
con il credere, per stanchezza civile, che i politici siano oggi tutti incapaci come ieri tutti ladri; che oggi
i burocrati siano tutti inefficienti come ieri tutti complici; che dunque la stagione della speranza sia già
stata ruminata dal sistema. E ciò è falso. Viene da chiederci che cosa mai possano aspettarsi i sindaci del
Nordest in una fase come questa, e noi cittadini da loro. Perplessità legittima quanto suicida: l’Italia ha
bisogno come il pane di una reazione. Qui è nato un movimento che, nella peggiore delle ipotesi,
funzionerà da detonatore; nella migliore, da avanguardia, a trazione anteriore, del federalismo.
11 gennaio 1996