1996 giugno 3 Cacciari e il partito del Nordest
1996 giugno 3 – Cacciari e il partito del Nordest
Massimo Cacciari non è un ipocrita e dice a voce alta anche le cose che altri si limitano a pensare in
gruppo. Questo fa scandalo, in un Paese dove gli intellettuali spesso hanno poco da dire o tacciono o,
soprattutto, evitano accuratamente di mettere a rischio la reputazione sporcandola con la realtà, il
conflitto, la vita quotidiana. Che cosa ha sostenuto di tanto irragionevole il sindaco di Venezia? 1) Che
Bossi ha monopolizzato la rappresentanza del Nord. 2) Che sarebbe utile ripensare in chiave federalista
anche l’organizzazione dei partiti, a cominciare dal primo embrione, un “Ulivo del Nordest”. Sul primo
punto, Cacciari ha ragione da vendere. Rispetto alla Lega Nord, tutti i partiti nazionali si sono mossi in
clamoroso ritardo. Non solo: anche se – come ha rimarcato Ernesto Galli Della Loggia ieri sul “Corriere”
– il federalismo resta tuttora imprecisato nei contenuti, è pur vero che per merito della Lega ha fatto
trionfalmente ingresso nel patrimonio istituzionale del nostro Paese vetero-centralista. Detto questo,
negli ultimi mesi ho sentito un sacco di gente immaginare, auspicare o sussurrare proprio un qualche
“partito del Nordest”, in grado di rispondere alla svelta a una doppia necessità quest’area: un nuovo ceto
dirigente e la rappresentanza dei suoi valori, oltre che dei suoi interessi economici, anche per sventare la
febbre secessionista. In sostanza, Cacciari ha posto all’Ulivo una questione latente anche in casa leghista
e, in generale, ben dentro la comune riflessione di sindacalisti, imprenditori, amministratori,
parlamentari, esponenti della cultura, della cooperazione, del “non profit”, dell’autonomismo trentino,
friulano e veneto. Chi si stupisce, o non ne sa abbastanza o ha paura anche della propria ombra. Lo scorso
inverno la stessa Marilena Marin aveva (inutilmente) consigliato a Berlusconi di ristrutturare Forza Italia
in tante “Forza Veneto” o “Forza Puglia” proprio per esaltarne il radicamento politico sul territorio.
Niente di nuovo sotto il sole. Piuttosto, l’idea di Cacciati lascia inesplorato un interrogativo non di poca
suggestione. Se servisse davvero, servirebbe un Ulivo o una Lega o una Forza Italia “del Nordest” oppure
– sulla scia dell’esuberanza faticosamente trasversale del Movimento dei sindaci – il Nordest vale da
solo un “Partito del Nordest”, alla catalana, che non riproduca sul territorio lo schema dei partiti
nazionali, ma ne realizzi uno di autonomo, pronto a rappresentare un “altro” Nord e a specializzarsi in
radicali riforme ma a vantaggio dell’Italia, tutta l’Italia, sud compreso? Inutile rimuoverlo, il tema è
questo o non è. Tutto il resto diventa accademia, buona per i climi temperati della politica, non per i
torridi come il nostro.
3 giugno 1996