2001 agosto Aggressivi non violenti. Finita l’epoca di Cacciari
2001 agosto – Aggressivi e non violenti. Finita l’epoca di Cacciari
Il paradosso degli attentati resta sempre lo stesso: i primi a dare una mano alle indagini dovrebbero
essere gli stessi attentatori. Finché la loro rivendicazione resta incerta, bisogna partire da sottozero, a
360 gradi come usano dire gli inquirenti proprio per marcare l’assenza di tesi preconfezionate o
puerilmente ideologiche. Le bombe anonime sono le peggiori, perché rappresentano la pacchia di ogni
speculazione: spesso, nel celare la mano che le innesca, svelano che l’oscurità è anzi la loro vera
strategia. In tanta sospensione di giudizio, la notte fonda della politica fa sembrare nere tutte le vacche,
indistinguibili con le paure dei cittadini. Chi rivendica, finisce con il passare le parole alla politica; chi
tace, affida la verità alla polizia scientifica. In queste ore, la bomba di Rialto è soprattutto un fatto
tecnico, affidato all’abilità degli specialisti, forniti anche di annusatori elettronici cui basta un vapore
per identificare un esplosivo. Da quando è andata in pezzi la Jugoslavia, da noi circola esplosivo al
plastico come la mozzarella, in particolare il Sentex cecoslovacco, di tipo militare. Gli intenditori sanno
che, da anni, alla frontiera del Nordest te lo tirano dietro e costa anche poco, forse un decimo di un
fucile; se non è vecchio o logorato chimicamente, e dunque non trasuda, risulta anche facile da
trasportare. Lo metti in borsa come un paio di scarpette da footing, e puoi far saltare anche il Tribunale
di Venezia, o peggio, se il fiuto di un buon cane di frontiera non ti scopre. Meno male che polizia e
carabinieri lavorano assieme. Fino a poco tempo fa, il primo che arrivava sul posto escludeva l’altro;
adesso no, adesso collaborano al 100 per cento, fortunatamente per noi. Come a Venezia. Sento in giro
gente sicurissima di tutto, che la bomba è nera (per gene) o rossa (per schieramento), anarchia o deviata
fa lo stesso. Gente sicura come ai tempi del rogo della Fenice: era la mafia, era la camorra, era la mala
veneta; poi arrivò Casson che fece condannare due artigiani veneziani. A sentire qualcuno, il pubblico
ministero potrebbe anche andarsene in ferie, tanto è già tutto chiaro. A me pare chiara una cosa
soltanto, e cioè che l’onda d’urto della bomba senza volto spingerà Venezia a ridiscutere il ruolo dei
Centri sociali e gli stessi Centri sociali a scegliere tra qualche anima di troppo. Provo a spiegarmi, se mi
riesce. A Venezia i Centri sociali non sono un luogo alternativo, come potrebbe sembrare a prima vista
ma un’esperienza che, per quanto discussa e discutibilissima, si è intrecciata da anni con le istituzioni
della città. Nel tentativo di dare una bussola anche culturale al disagio giovanile e sociale, Massimo
Cacciari è stato per così dire il garante della loro «aggressività non-violenta» come ama chiamarla
Gianfranco Bettin. Tant’è vero che, nello spiegare oggi perché la bomba a Venezia, Cacciari dichiara:
«Ma perché a Venezia e nel Veneto il movimento, che malamente viene definito anti-global, è forte e
pacifico». Personalmente, non condivido per nulla questa lettura della bomba da parte di Cacciari, ma
non è questo il punto. Sta di fatto che oggi, con il sindaco Costa, i Centri sociali hanno semmai
conquistato in Comune insperati spazi di potere. Da poche settimane, neo assessore ai servizi sociali è
Giuseppe Caccia, con Luca Casarini uno dei leader dei Centri. Con 64 miliardi, al netto del costo del
personale, il suo assessorato rappresenta forse la voce di bilancio più consistente del Comune. Che i
Centri sociali si sentano di casa a Ca’ Farsetti, lo dimostra l’intervento di Casarini al consiglio
comunale straordinario di giovedì. Ha parlato come un sindaco-ombra mentre gli aderenti ai Centri
alzavano in aula cartelli del tipo: «Berlusconi basta bombe di Stato»; insomma con un piede nel
Palazzo e un piede non si sa nemmeno dove, ahimè. Costa non è Cacciari. Cacciari era un riferimento,
Costa no: il primo faceva più politica che potere; il secondo più potere che politica. Sicché a me pare,
se non sbaglio, che i Centri sociali di Venezia paghino questa perdita di un tormentato punto fermo.
(Anche un po’ di utopia tutta cacciariana). Già tenere sotto controllo il confine tra aggressività e
violenza è un’impresa proibitiva. Ma oggi si carica, oggettivamente, di una ulteriore ambiguità di
fondo, tra Ca’ Farsetti e movimento, tra tute bianche e rifiuto di tute nere, tra «Berlusconi basta
bombe» e impegno – come ha scritto lo stesso Casarini sul «Manifesto» – a tenere sotto controllo il
linguaggio! Il corto circuito è sempre latente, davvero appeso a un filo. Ha ragione Bettin: da una parte
e dall’altra, oggi si corre il pericolo che nuovi «muri mentali» facciano degenerare la politica. Se
parlano le bombe, è proprio così. Venezia non potrà evitare un tema forza sette, che fu in Italia la
tragedia degli anni Settanta. Come isolare i movimenti «anti» dalle loro derive «oltre», fuori, contro:
anche contro se stessi. La bomba dell’ambiguità fa peggio del plastico. La storia insegna.
agosto 2001