2001 aprile 29 La notte di Marco
2001 aprile 29 – La notte di Marco
Tre ventenni in auto sulla Statale Castellana, una notte come tante tornando a casa dopo le solite
cose, la festa di classe, tanti amici, un salto in discoteca, la musica, le chiacchere, anche un’ombra
di stanchezza (dai, ‘ndemo), forse un velo di sonno (nooo, xe presto), ragazzi come tanti, sulle
nostre strada di ogni santo giorno. Quando l’alba non è lontana, i pensieri filano lisci come i sogni
e, a vent’anni, i sogni non spegnerebbero mai il motore, il gioco, la tenerezza della notte.
Per una qualche ragione, l’auto esce di strada. C’è sempre una ragione, che i tecnici del crash
quotidiano spesso rimandano alle concause, per dire che di solito più circostanze favorevoli si
danno appuntamento ad un certo chilometro, ad una certa ora, non un minuto prima né uno dopo,
non un metro oltre né dietro, soltanto dove e quando la morte realizza le sue perfette geometrie, che
partono sempre da lontano come il destino, compagno di viaggio invisibile e paziente.
Dei tre ventenni, uno muore, due si salvano. Dei due che si salvano, uno si suicida, Marco, che
stava al volante e che ha visto morire Patrizio tra le braccia del terzo amico. Nel silenzio, il rumore
più forte è il battito del cuore. Quando piangono, i bambini corrono verso i genitori e si stringono
alle loro ginocchia, ma Marco è solo, cammina al buio, senza la possibilità di correre verso un gesto
protettivo.
Dice la gente del luogo che, probabilmente, ha cercato i binari della ferrovia, il passaggio di un
treno per farla finita in un centesimo di secondo. Cammina covando un gesto estremo di altruismo;
pensa che soltanto danneggiando sé stesso potrà pareggiare il conto con l’amico. Ri-dargli la vita.
Dopo un incidente mortale, tutti hanno sensi di colpa, rimorsi, rimpianti. Marco vi aggiunge
qualcosa di terribilmente suo, l’auto-sacrificio come iperbole dell’amore. Oltre che di angoscia, lui
muore di amicizia, senza calcoli.
Sennò non si completerebbe tutto il perché di un gesto anomalo, e il perché dell’accanimento nel
lasciarsi andare, senza un’esitazione, senza un ultimo dubbio, di peso, dove la disperazione pesa più
del corpo. Con due giri di filo di ferro attorno al collo, Marco tace pur volendo dire un sacco di cose
a una notte che non poteva ascoltare.
Dopo il Concilio del Papa buono, la Chiesa si è fatta più buona; da anni accoglie anche i suicidi con
la stessa pietà, e non li tiene più fuori dei camposanti. Per salvare Marco, dice il prete in duomo,
sarebbe bastato “un cellulare”. Una voce, una parola, una mano, la possibilità di riportare a casa, per
farli riposare, quel grumo di sentimenti aggrovigliati come lamiere. Succede spesso che ci si
incontri troppo tardi, muti.
Come rivelano le migliori ricerche fatte in mezzo mondo, i ragazzi di oggi sono più intelligenti di
quelli di ieri: un bambino del 2000 dimostra in media, rispetto a noi degli anni ’30 e ’40, un
quoziente di intelligenza superiore di ben 27 punti. Ma quattro anni fa, secondo l’Organizzazione
mondiale della sanità, il suicidio era la quarta causa di morte tra i ragazzi dai dieci ai quindici anni
in Paesi sviluppati.
Un pozzo di inquietudine dentro un mare di intelligenza. A volte, le notti dei nostri ragazzi
illuminarono meglio della luce del giorno la loro felicità-non felice.