2001 aprile 3 Stranieri nostri
2001 aprile 3 – Stranieri nostri
Ruttelli attacca: “Visto cosa scrivono di Berlusconi l’Economist, Le Monde, El Paìs, El Mundo?”.
Berlusconi in contropiede: “Letto cosa dicono di me il Time, il Wall Street Journal, Le Figaro?”.
All’edicola internazionale, ciascuno prende quel che gli serve e ne fa palle di carta da lanciare
sull’avversario. In campagna elettorale come sui banchi di scuola.
Un po’ siamo provincialotti. Narcisi, adoriamo i lecchini; permalosi, detestiamo il contropelo.
Insomma, dipende.
Il paradosso è evidente. Della stampa straniera, o si fa un uso goffamente interno oppure la si tiene
alla larga come del tutto aliena. A chi porta beneficio? Soltanto questo conta per gli italiani, specialisti
del cui prodest di giornata. Il pezzo più pregiato dell’antiquariato politico, Giulio Andreotti, usa il
termine “ingerenza”, datato come il Muro di Berlino. Da industriale, Gianni Agnelli reagisce con il
patriottismo dell’Azienda Italia, come se gli toccassero la Ferrari: “Non siamo la repubblica delle
banane”, che deve attendere il visto dell’Economist.
Mario Carraro è una rassegna stampa in carne e ossa: ogni mattina alle 7 si fa in Internet il giro del
mondo dei giornali, come bersi un caffè a Campodarsego. Lui vede la faccenda anche da un altro
punto di vista: “Ma ci rendiamo conto – domanda – cosa scrivono i giornali italiani sulle cose
americane? E che cosa hanno scritto di Bush?”.
Come dire, ce n’è per tutti.
A sostegno del suo sconcerto, ricordo il girono dell’elezione di Clinton a presidente degli Stati Uniti.
Una grande firma d’Italia lo definì “bamboccio”.
Sarebbe anche ora di cambiare radicalmente prospettiva, anzi linguaggio. Fra otto mesi scarsi gli
europei avranno in tasca la stessa moneta: possiamo ancora chiamarci l’uno “straniero” dell’altro?
D’ora in poi, se un giornale “straniero” parla di noi è anche perché noi, di anno in anno, siamo un po’
meno stranieri e un po’ più loro. E viceversa. Abbiamo messo assieme istituzioni, difesa, norme e
direttive d’ogni genere, adesso la moneta, da sempre simbolo fondante degli Stati nazionali. È venuto
il tempo di aggiornare i significati delle parole come “straniero”, che qui perde il suo suono nemico,
ostile, in ogni caso estraneo.
Ci vorrà il suo tempo; un giorno anche i grandi giornali “stranieri” saranno in Europa giornali
regionali. Non “stranieri” come si usava ai tempi di mio padre, “non passa lo straniero”, ma come
tocca a un continente che si sta lentamente federando anche senza dirlo.
Se penso all’Europa che verrà. Se penso all’economia che globalizza, se penso alle migrazioni di
milioni di uomini, se penso alla delocalizzazione delle imprese, trovo archeologico l’uso che la
politica italiana fa dei giornali “stranieri”. Sono anche nostri, altroché, e noi siamo anche loro, ci
piaccia o no, e l’Italia, con o senza Berlusconi, non sarà più una questione soprattutto italiana: anzi,
sempre più europea.
Dove ha ragione da vendere l’avvocato Agnelli sta nella pretesa, questa sì straniera e ostile, di
scomunicare a mezzo stampa. Non lo fa più nemmeno la Chiesa.
(Ma poi, detto rigorosamente tra noi, se gli italiani leggono pochissimo i giornali italiani, quale
interesse possono avere per quelli stranieri?).