2001 Febbraio 28 Il delitto

2001 Febbraio 28 – Il delitto

Il serial killer di Genova, Bilancia, ha detto ai giudici: “io vi racconto i fatti, voi cercate il perché”.
Qualche anno fa Vittorino Andreoli ha scritto un libro: “Voglia di ammazzare, analisi di un
desiderio”.

L’uomo è l’animale più assassino perché ha elaborato la cultura del nemico. Sia esso etnico, religioso
o familiare, fa lo stesso.

Il delitto ci accompagna dal Vecchio Testamento, e i grandi tragici greci sono in materia preziosi
manuali. Anche il bambino Pip, protagonista di un romanzo del buon Charles Dickens, sa
tenacemente odiare, quando serve.

Non è stupefacente che i conoscenti di Bilancia lo ricordino come “un uomo tranquillo” e che, agli
amici di scuola, Erika e Omar di Novi Ligure sembrassero fino a ieri “normali”. Il dottor Jekyll è il
bene e mister Hyde il puro male nella stessa persona, come due persone in una. “Di qua l’essere
umano, di là una belva immonda”, ha spiegato Vincenzo Cerami, narratore di nerissimi fattacci.

Spesso i perché sono oscuri, buchi neri della personalità. In fondo, il cervello è l’organo che per ora
conosciamo meno.

La biologa spiega che l’encefalo plastico ha a che vedere con l’impulso a uccidere. C’entrano le
pulsioni, l’inconscio, la libido del male, l’habitat, l’esperienza, il caso come miccia del destino.

Il movente è un labirinto anche quando appare chiaro come la luce del sole. I soldi.

Esiste la follia, fino a prova contraria; il raptus, la cattiveria. I cattivi esistono. Anche il Nulla, come
lo chiamava padre Turoldo, sotto il travestimento della normalità: un tranquillo uovo nero covato dai
pensieri e dalle emozioni.

Sui grovigli della persona siamo fermi da millenni, non abbiamo trovato molte risposte alla colpa.
Sappiamo, parola di Plutarco, che le malattie dell’anima sono peggiori di quelle del corpo.

Non sopporto lo psicologismo di chi ha capito tutto, dalla A alla Z, quando il corpo delle vittime è
ancora caldo. E si che, guardando agli ultimi delitti con protagonisti giovani, ogni famiglia coinvolta
è sembrata l’una diversa dall’altra. Impossibile ricavarne una media, tirarne fuori un perché sociale,
certificare il non-dialogo, una generazione di genitori dimentichi di chiedere ai propri ragazzi soltanto
un “Come va la vita?”.

Fino l’altro ieri i genitori erano accusati di essere troppo amici dei figli; oggi amici silenti e ignari. E’
strano: tutti sanno come si deve fare il genitore; tutti danno lezioni; tutti sono sicuri di tutto, in
cattedra. Eppure i sociologi osservano che, nonostante il tumulto dei valori, è la famiglia a tener
ancora duro, più di qualsiasi altra istituzione, e sono proprio i genitori a sceglierla come bene-rifugio,
più a lungo che nel passato.

Non ho mai visto il Male abitare da una sola parte. Però confesso di non riuscire a ri-pensare i coltelli,
i ragazzi, le urla, il sangue, il gelo, la menzogna di Novi Ligure. Come per il becchino, la mia testa
non ce la fa a contenerli, e non saprei dove altro sistemarli per farmi un millimetro di opinione.

Il filosofo Galimberti parla spesso di “pancia”. Ho trovato più affine chi ha detto: “Non si può capire,
lungo il confine di cartavelina tra bene e male, tra irrazionalità e normalità.

Ma, forse, come padre appartengo alla categoria oggi più squalificata anche se ai miei figli chiedo
ogni giorno: “Come va?”.