2001 Gennaio 8 Oh Marghera!
2001 Gennaio 8 – Oh Marghera!
Mi ha colpito una piccola notizia di cronaca, il cui significato mi sembra però grande, qualcosa più
di un’allusione. Nel 2000, il quartiere veneziano con la maggior percentuale nella raccolta
differenziata dei rifiuti è stato Marghera, che, con un buon anno d’anticipo, ha raggiunto e anzi
superato i parametri nazionali fissati dal decreto Ronchi per il 2001.
Lo so, lo so bene che questa è una pagella civile non chimica, che premia i cittadini e non riguarda
una volta tanto le ciminiere. Pur sapendolo, sento che vuol dire qualcosa.
E’ una bonifica che comincia sulla porta di casa, anticipando quella del territorio inquinato. Quei
rifiuti diligentemente in ordine sono anche il rifiuto del passato: forse la faccio lunga, ma mi piace
pensarlo, ora che gli archivi della memoria si fanno sempre più remoti.
A maggio del 1932, “S.E. il Conte di Misurata, geniale creatore di Porto Marghera” – come si
precisava allora – ricordò che poco più di dieci anni prima quell’area era “una palude infestata dalla
malaria”. Aderente al porto industriale, veniva annunciata anche la costruzione di un nuovo quartiere
urbano, presentato nel progetto come una “città-giardino, comoda e civile sede a circa 30.000 abitanti,
a sua volta suscettibile d’ulteriori sviluppi praticamente illimitati”.
Quarant’anni dopo, nel 1971, Indro Montanelli dovette difendersi in tribunale a Milano dalla querela
per diffamazione presentata dal sindaco di Venezia Longo, e dai suoi otto assessori dc. E lo fece con
parole sulfuree, che prendo a prestito da un bel libro di Sandro Meccoli.
“La scelta che si pone nell’odierna realtà comunale – affermò Montanelli con passione – non è fra
Venezia e Rotterdam, ma fra Venezia e Giacarta, Sarei grato ai giudici se volessero recarsi a visitare,
a Marghera e a Mestre, uno dei più scombiccherati e ciabattoni ammassi di cemento, senza servizi e
senza verde, cresciuti negli ultimi anni; e questa sarebbe la città del futuro, alla quale si vorrebbe
sacrificare la Venezia del passato! Ho detto e mantengo che gli amministratori di Venezia negli ultimi
vent’anni hanno sacrificato gli interessi della città insulare a quella di terraferma; ma avessero almeno
fatto gli interessi di Mestre-Marghera, avessero saputo costruire una vera città moderna. Hanno
costruito soltanto una bidonville”.
40 anni da Volpi a Montanelli, 30 da Montanelli ad oggi. Dalla malaria alla bidonville, Marghera è
stato il sito archeologico dell’industrializzazione: con i piedi a Nordest e la testa nel triangolo
industriale, culturalmente più lombarda che veneta.
Il tempo si è portato via un mare di cose. Anche la bidonville ha cambiato i connotati per farsi via via
città veneta che, non per nulla, insiste nel referendum separatista. I vecchi si dicono “veneziani”, i
giovani “mestrini”: la costola ex proletaria di Venezia è da tempo tentata di mettersi in proprio.
Marghera ha contato le sue lotte, il ripensamento operaio, la violenza di classe, i drammi del
“Petrolkimiko” dei libri di Bettin, le inchieste esemplari del pm Casson, il rimorso senza fine per
Taliercio, le morti da Cvm-Pvc, lo svuotamento della Grande Fabbrica, la cultura della bonifica della
terra dell’acqua e dell’aria, l’accesso della sicurezza alla tecnologia. Dove convincono chimica,
petrolio, laguna, produzione, lavoro, ambiente, un altro mare di cose è in cantiere.
Oltre ai rifiuti casalinghi, anche la memoria si fa per la prima volta storicamente differenziata. Sì, è
finito il ‘900 di Marghera.