2001 Gennaio-Luglio Bucarest l’inno di Mameli fischiato e vincente

2001 -Gennaio -Luglio – Bucarest: l’inno di Mameli fischiato e vincente

Chissà cosa è passato per la testa ai romeni, nostri fratelli latini, che a Bucarest hanno fischiato l’inno
di Mameli. Strano, visto che ci applaudono a scena aperta quando esportiamo le nostre aziende a
Timisoara e dintorni. Di Bucarest, ma erano altri tempi, conservo flash molto diversi. Un pubblico
competente, un prato all’inglese, una onesta scuola di football: nei negozi mancava tutto, l’unico
prodotto in abbondanza, erano i libri di Ceausescu. Ricordo una dignitosa e ospitale povertà di massa,
che però non sarebbe mai ricorsa alla birichinata di bagnare il campo per sedere nel fango degli ospiti.
Ceausescu, per orgoglio socialista, avrebbe spedito i responsabili in miniera. O a leggere il suo ultimo
libro, peggio ancora.

Gherminella patetica, quella dei romeni sabato sera. L’Italia del buon Mameli ne ha fatti due, ne
poteva fare cinque, se Inzaghi e Del Piero si fossero reciprocamente serviti tutti gli ultimi passaggi a
disposizione. Nessuno è perfetto.

Soprattutto di questi tempi, consola vedere l’Italia. Non faccio l’autarchico post-moderno se osservo
che lo strapotere della legione straniera in campionato carica la Nazionale di un potere di
rappresentanza fino a ieri sconosciuto.

O guardi questa squadra o non ti ritrovi più, né come stile né come scuola. Se vuoi ragionare di calcio
all’italiana, qui devi passare, non ci sono santi.

Tanto più se ad allenare la Nazionale provvede gente come Giovanni Trapattoni, del quale ricordo
una definizione di Nereo Rocco. L’amato paròn diceva di lui: “Trap xe Trap. Non fa squilli da dieci
o da cento, no. Lui è l’artigiano del campo, c’è sempre sui cinquanta sessanta. Io gli brontolo qualche
volta di essere più potente, ma poi me rendo conto che nò pòl. Lui non è un giocatore, è il Trap e il
Trap xe fato così”.

Dal campo alla panchina, Trapattoni è rimasto artigiano. Le sue squadre sono lavorate a mano, figlie
di una saggezza senza squilli, che sembra non inventare mai nulla. Il Tra è il Trap, docente di
normalità tattica, la più coerente con i cromosomi nostrani.

L’Italia di Bucarest va in gol quando sembra schiacciata, a causa di un effetto ottico chiamato
possesso palla. Gli altri si illudono sulla quantità di gioco; tu li cogli d’incontro, a mento scoperto.

Da una nuvola sopra Trieste vedo sorridere, davanti a una bottiglia di barbera, Gianni Brera e Nereo
Rocco, il caposcuola del realismo non del catenaccio, il Renzo Piano del contropiede non l’architetto
della palla avanti e pedalare. Quante scemenze sono state dette e scritte sul football cosiddetto
difensivo del paròn, ma il Trap ha il merito storico di non curarsi . Lui gli “Strunz” sa tenerli a bada.

Non so, deve essere una questione anche di atmosfere, di habitat, forse di refoli autoctoni. Perché
Capello, goriziano di Pieris, e Zoff, friulano di Mariano, non si assomigliano in nulla tranne che nella
filosofia: prima garantisci la difesa, poi datti da fare per un gol in più dell’avversario.

Non il mito dello 0-0 di Annibale Frossi, ma la diligenza del buon padre di famiglia applicata al
calcio, tutto qua.

E’ anche una piccola rivincita, questa Nazionale. Nelle coppe europee non abbiamo più un cane; non
resta che la squadra di Trapattoni a difendere il pedigree internazionale. Bucarest non sarà il

Maracanà, eppure le statistiche dicono che in Romania non si vince facile. Anzi, stando agli annali,
né facile né difficile: proprio si fa fatica.

Il fatto è che questa Nazionale meriterebbe quasi una gerarchia capovolta rispetto alla prassi. E’ forte
dietro e forte davanti ma, forse, ha addirittura più classe in difesa che in attacco. Messa giù così
sembra una bestemmia guardando ai Del Piero e ai Totti, ma anche gli Inzaghi, Montella, Vieri (io
poi confesso una debolezza, fossi presidente di un club e dovessi mettere in piedi una squadra
comincerei sempre da Inzaghi: lascio pure che dicano). E tuttavia, quando i difensori sono Nesta,
Cannavaro e Maldini, ho la netta impressione che qui abiti addirittura un tocco di classe in più. A
Bucarest quei tre hanno dato spettacolo, ciascuno per sè e come trio.

Dopodomani tocca a Trieste. Non ho nessun titolo, proprio nessuno, per chiedere qualcosa a
chichessia, anche se nessuno mi può impedire di sognare che Trieste, ai fischi in mezza Bucarest,
risponda applaudendo l’inno lituano come o più del nostro.

Una vendetta trasversale, a colpi di fair play.