2001 Gennaio-Luglio Contro la violenza dovremmo scioperare noi

2001 Gennaio – Luglio – Contro la violenza dovremmo scioperare noi

Che faranno i giornalisti sportivi da grandi ? Saranno ristrutturati in cronisti di nera e giudiziaria. Più
che distinguere tra marcatura a zona e a uomo o tra un tiro di collo pieno e di esterno converso,
dovranno barcamenarsi tra colpa e dolo, lesioni multiple e tentato omicidio, cazzotti privati e
aggressione a pubblico ufficiale. Da tempo, gli inviati speciali sono ormai i questori: il rapporto in
punta di manganello ha oscurato l’articolo in punta di penna.

C’è poco da scherzare, data l’assoluta normalità della violenza domenicale: scambiatevi un segno di
pace e giù legnate. Ricordo, tanti anni fa, lo stupore di un bravo giornalista veneziano, Walter
Ravazzolo, quando seppe che ignoravo tutto del basket. Oggi anche lui auspicherebbe ben altra
competenza, a suon di articoli del codice di procedura penale non di romantici canestri.

E’ una violenza ideologica, che si nutre di se stessa. Non ha bisogno di moventi, perché si motiva da
sola, prendendo al volo qualsiasi pretesto. E’ autogena, come una sbronza. A Bari i tifosi hanno
“scioperato” come dire che il tifo è diventato un doppio lavoro. Non sono semplicemente rimasti a
casa; no, hanno disertato i cancelli dello stadio come una volta i cancelli di Mirafiori. Pensa te, si
sentono operai! Le società di calcio hanno organizzato gli “ultras”, che è il pubblico meno
inquadrabile. Prima o poi, gli “ultras” si organizzeranno in sindacato e chiederanno il minimo
garantito: almeno un pareggio, sennò sciopero. Contro il padrone e /o contro il pallone.

Il Verona va a Torino e perde onorevolmente con la Juve, cosa che non sorprende nessuno, a
cominciare dai superstiti giocatori del Totocalcio. Ai manipoli veronesi non sta invece bene e, se in
casa fanno “buuu” agli avversari di colore, in trasferta se la prendono con le forze dell’ordine. Cioè
proprio con chi non fa né prende gol, ma si può? Basti veder cosa è capitato a Reggio Calabria, dove
gruppi di intellettuali da diporto hanno sfasciato uno stadio bello, moderno, comodo. A Napoli
incendiarono i seggiolini rossi, a Reggio strappano via i seggiolini azzurri: cambia il colore non la
filosofia, che consiste nel sentirci felici distruggendo casa propria, malinconicamente.

Ora, io capisco che facessero le barricate per fare o non fare il Ponte sullo Stretto che, come ho sentito
dire un giorno a Enna, “congiungerebbe finalmente l’Europa alla Sicilia”. Ma spaccare tutto perchè
la Reggina fa fatica a restare in serie A, beh, questo diventa uno smisurato peccato d’orgoglio
mediterraneo. In serie A, come noto, si sta sempre a tempo.

Una cosa è certa; la violenza degli stadi è sorda patòca, non dà retta a niente e a nessuno. Il Papa
esorta i calciatori, ed è subito coma; La Federcalcio organizza un vertice apposito a Roma, e Reggio
risponde a seggiolate. Boia chi molla.

Forse, sarebbe il caso di ignorare tutto, senza riprese televisive, senza titoloni, senza pezzi allarmati,
senza commenti moraleggianti. Forse, dovremmo limitarci a un righino nel tabellino delle partite,
assieme alle formazioni in campo, ai minuti dei gol, all’incasso, come un’ultima marginale
annotazione.

Non so voi, io mi sono stufato. Sempre le stesse cose, come del resto lo schifo dei campi, autentici
pantani, letamai del football, da Torino a Vicenza. Nei panni di Zidane o di Recoba, come dei
Schevchenko o dei Fiore, farei di tutto per andare a giocare in Inghilterra che, nonostante tanta pioggia
che da noi, sembra un unico grande prato da golf e dove gli assi del tocco in più non devono fare i
conti con terreni da brocchi. Mamma mia.

E’ un miracolo che, a dispetto dei baluba, dello stress e dello scarso comfort degli stadi oltre che dei
campi, si vedano in giro perle e brillanti. Ho in mente due assist di Roberto Baggio, del tipo si
accomodi prego. Penso a due incornate palladiane, di Trezeguet e di Sosa. Ripenso a Masinga del
Bari che sfrutta le amnesie dell’Udinese ma, occorre riconoscerlo, sa andare in gol con la dolcezza di
un cioccolatino.

Consoliamoci. Cinquant’anni fa un arbitro di Verona, Bruno Tassini, di professione esattore, ci rimise
sette denti per due cazzotti in due diverse partite. Quando gli scrissero se volesse smettere, rispose:
“No savaria, tute le partie se somèia”. Nel calcio, niente di nuovo.