2001 Gennaio-Luglio Didi e Capello, due veri leader
2001 Gennaio – Luglio – Didi e Capello, due veri leader. E sfrattiamo l’Inter
Le agenzie di stampa, tra un Montella-gol e un’Udinese pazza, battono la notizia che è morto Didi.
Anche se ai nostri ragazzi il nome di Didi Waldir Pereira non può che risultare sconosciuto, la seconda
notizia è questa: era uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, campione del mondo in Svezia nel
1958 con un Brasile omerico che schierava tutti premi Nobel del football. Gilmar in porta, i due
Santos terzini, Garrincha all’ala, Vavà centravanti Pelè a 18 anni e, alla regia, Didi. Rivedendo i
filmati in bianco e nero, si capisce al volo perché “Vavà Didi Pelè” sia diventato anche il refrain di
un samba popolare. Certe movenze erano musica. Vedeva il gioco ad occhi chiusi, Didi, uno di quei
giocatori che, non si sa come, intuiscono sempre come andrà a finire, e dove, l’azione.
Nel suo Brasile, era il leader, a capo di una vera e propria “commissione interna” che diceva la sua
con l’allenatore Feola. Fu proprio Didi, nel 1958, a chiedere l’esclusione di Josè Altafini per far posto
al ragazzino Pelè. Questa è grossa, a pensarci bene, e rende benissimo l’idea del livello tecnico della
squadra da sogno. Per quanto bravo, nemmeno Altafini lo sembrava abbastanza per quei fenomeni.
Ha inventato anche il calcio di punizione “a foglia morta”, che avrebbe fatto in Italia la fortuna di
Mariolino Corso. Non per vocazione Didi tagliava quelle traiettorie estenuanti, fatte apposta per
paralizzare i portieri: slogatasi una caviglia, aveva imparato a calciare molle, per precauzione.
Quando smise di giocare, girò il mondo ad allenare chiunque lo pagasse bene in dollari, compresa
l’Arabia Saudita. Ricordo come adesso il suo Perù al mondiale 1970 in Messico: spettacolare, arioso,
aggressivo. Didi, che aveva giocato lento, in panchina amava la velocità. Era nero come la notte
fonda, simpatico, e in fondo ha sempre fatto in vita sua un solo mestiere: l’esploratore di un futebol
che diverte e che canta. “Vavà Didi Pelè”…suona bene ancor oggi, nonostante i boatos del nostro
calcio.
Certo, un leader tutto d’un pezzo, della stessa etnia di Didi, ce l’abbiamo anche noi in campionato,
anche se è un bianco, goriziano di Pieris. Mi riferisco a Fabio Capello, che sta diventando un caso
da manuale, ma per conto mio in senso totalmente positivo.
Altro che Altafini, Capello escludere o toglierebbe anche Pelè se in cattiva giornata o
sottorendimento! E fa bene, da un segnale forte, non soltanto alla Roma, perché in sostanza manda a
dire a tutti che i “cocchi di mamma” (definizione di casa Agnelli) non esistono nemmeno se pagati a
peso d’oro, come Totti o Del Piero tanto per fare un paio di esempi d’alta finanza. E cioè, 10 miliardi
netti a testa, all’anno.
Capello è recidivo. Dopo la Juve, ha fatto il bis con l’Atalanta: fuori Totti dentro Nakata; fuori er core
dè Roma, dentro il sol levante. Come se niente fosse, sotto lo sguardo un po’ allucinato (a Torino) e
un po’ allupato (a Roma) di Totti, che è pure un po’ jellato.
Appena se ne esce lui, la Roma va in gol, per di più su accensioni di Nakata, il giapponese, un altro
che non guarda in faccia nessuno, ma che deve avere una predilezione per Vincenzo Montella. Come
Nakata affonda, Montella conclude in gol, magari ribattendo in acrobazia, o di rapina, come usava un
suo sosia, Paolo Rossi, che annusava il gol come un cane da tartufi.
Lazio e Juve stanno sempre lì, non lasciando perdere mai, ma sembra un po’ tardi con questa Roma
e, soprattutto, con questo Capello che non perde un colpo e che non cede né al sentimentalismo né al
populismo. Lui questo scudetto 2001 se lo vuole sbranare, partita su partita, concentrato quanto
nessun altro.
Non ci fossero i passaporti, il nandrolone, i teppisti, i traffici e tutto il resto, sarebbe un bel
campionato. Anzi due, ad essere più precisi, visto che in zona retrocessione tutto può ancora
succedere, con qualche mistero di troppo. Non riuscirò mai a capire l’Udinese, che meriterebbe il
lettino di Freud, e che sta sottoponendo lo stadio Friuli alla stagione più adrenalinica della sua storia.
Roba da matti, da 0-3 a 3-3.
A proposito, non si può più parlare di Inter. E’ diventato un argomento hard, a luci rosse, vietato ai
minori, oltre il comune senso del pudore, senza capo né coda. Non si è mai visto in circolazione una
squadra meno squadra: non sembra neppure allenata per come si sistema in campo; più che altro, pare
autogestita, ognuno secondo istinto, ignaro dell’esistenza dell’altro.
Andrebbe sfrattata da San Siro l’Inter. Almeno finchè non torna Ronaldo.