2001 Gennaio-Luglio Inetti, mercenari: tutto il calcio difetto per difetto
2001 Gennaio – Luglio – Inetti, mercenari: tutto il calcio difetto per difetto
Vi avverto subito che, se volete sapere qualcosa di Inter-Juve, non dovete leggere questo articolo,
scritto un paio d’ore prima. Fino a qualche tempo fa era tutto più semplice anche per i giornali, perché
il calcio arriva in orario come i treni del cavalier Benito Mussolini. Adesso, con il campionato a
singhiozzo, tutto è diverso, un paio di partite al sabato, le altre al pomeriggio della domenica e, servita
alla fine come il dolce di nozze, la partitissima della sera.
Se paghi Crespo 110 miliardi, è chiaro che la serie A diventa proprietà dei diritti televisivi, ma io non
trovo che questo sia un dramma. Semplicemente, è un altro mondo: 50 anni fa bastavano cento lire
per sognare giocando due colonne della schedina del Totocalcio. Non ci sono più paragoni possibili,
tant’è vero che stanno mutando in questi giorni anche la struttura, il potere, la natura stessa del
business dei bulloni.
Rischia di diventare presidente della Federcalcio Gianni Rivera, l’Euclide del “tocco in più”, cioè un
ex-calciatore, non so se mi spiego, una vera e propria rivoluzione, un po’ come se il sindacalista Sergio
Cofferati venisse eletto al vertice di Confindustria! In parole povere, il mondo delle società grandi e
piccole non riesce più a esprimere un leader all’altezza delle trasformazioni in atto e, dunque, si
rivolge ai suoi “dipendenti”. Fino a ieri li metteva in bilancio per far tornare i conti patrimoniali delle
Spa, adesso li candida a gestire la loro federazione.
Se così sarà, sarebbe il colpo del secolo per l’avvocato Sergio Campana di Bassano. 32 anni fa a
Bologna, fondò l’associazione calciatori quando costoro erano beni mobili delle care vecchie società
alla stregua di scarpe, maglie e palloni; oggi il “sindacalista dei piedi”, come lo chiamava Gianni E.
Reif, raccoglierebbe l’ultimo frutto di una lunga, tenace, onesta marcia verso il “calcio spettacolo”.
Attori più che giocatori.
Una sola cosa non muterà nei secoli dei secoli: la classe, e mi riferisco a Roberto Baggio, ieri nel
pantano di Verona. L’ho visto e rivisto alla moviola. Ad un certo punto, in mezzo a tre traccagni da
stinco, lui è sembrato toccare di punta e di interno con la levità di un orafo. Parola d’onore che mi è
tornato in mente un fantastico diadema d’oro etrusco in mostra a Palazzo Grassi. Poi, Baggio ha
servito un diagonale-gol smarcante che evocava proprio Rivera, noto negli anni sessanta come
“golden boy”, altro orafo.
La polpa del calcio è questa, da qui all’eternità. Possono cambiare i parametri, le quotazioni, le stanze
dei bottoni, ma il Pil sta tutto lì, in punta di piede.
Trovo che il football sia onesto fino alla crudeltà. Mette a nudo la classe, ma anche la presunzione e
la classe presunta: da Baggio a Simone Inzaghi. Roba da ritirarsi per un paio di mesi in convento, con
il voto del silenzio.
Il rigorista della Lazio, lo sapete, è Crespo, ma Inzaghi, che lo sa meglio di noi, ha preso il pallone,
ha spostato Crespo e ha calciato di suo. Fasso tuto mì, diremo noi veneti in vena di narcisismo, ma il
rigore lo avremmo segnato.
Invece il buon Inzaghi, fratello di seconda scelta dell’altro Inzaghi, si è sentito Maradona e Totti in
un colpo solo senza avere né la magia del primo né la suola sensibile del secondo, ragion per cui ha
tentato un colpo sotto che voleva irridere il portiere ma ha fatto ridere soltanto i polli. La sua
goffaggine è risultata pari all’innocuità del tiro, più molle di una scamorza ,più temerario di un
insulto.
Naturalmente, Inzaghi si è prontamente scusato. Si scusano sempre tutti. Solo che spesso si scusano
retoricamente, per le innocenti figure barbine come per aver procurato un coma, senza nessuna scala
di valori.
A volte trovo che manca al calcio il senso del ridicolo, vedi questa storia dei goleador che si rifiutano
di festeggiare quando segnano alla loro ex squadra. Mamma mia, quanto teatro, quanta ipocrisia,
quanta caramellosa esibizione, quanta eleganza a buon mercato: non se ne può più.
In un calcio iper mercenario, che le studia tutte per cambiare casacca dalla mattina alla sera con o
senza contratto, non sono capace di prendere sul serio questi trappisti che trattengono la gioia del gol
come in apnea.
Se nemmeno il gol è urlato senza pietà, a che servono gli stadi?