2001 Gennaio-Luglio La festa di congedo: Dio, Patria e Formula 1
2001 Gennaio – Lugli – La festa di congedo: Dio, Patria e Formula 1
Ricordati che Dio ti guarda, ma anche Francesco Cossiga non scherza: così il campione del mondo
Michael Schumacher, “tedesco di Germania” ha ascoltato l’inno di Mameli senza sbattere nemmeno
una palpebra, come un corazziere del Quirinale. L’ex capo dello stato lo aveva ammonito a non far
più il “buffoncello” dal podio e il numero uno dell’anno ha obbedito ascoltando il nostro Mameli
come il suo “Uber alles”. L’ultima picconata di Cossiga ha lasciato il segno anche sulla festa di
congedo, Dio, Patria e Formula 1, fratelli d’Italia.
La Ferrari di Maranello, Italy, acquistata dalla Fiat nel 1969, ha rivinto quest’anno il campionato
costruttori, che è la classifica a squadre. Gli agiografi raccontano che Enzo Ferrari attribuiva al titolo
di scuderia una straordinaria importanza e che, invece, fu lo sciupafemmine Briatore a degradarlo
nell’immaginario dei box quando lo paragonò alla Coppa Italia del calcio!
No, io penso che avesse ragione da vendere Ferrari. Il pilota, d’accordo, è soprattutto; a parità di
macchina, lui fa la differenza: basta osservare Schumacher e Hakkinen, i due soli “fuori quota”
rispetto alla normalità dei Coulthard e dei Barrichello. Nonostante lo stesso bolide, quei due stanno
sempre lì, davanti, selettivi come la classe; gli altri due dietro.
Il pilota è la carne, l’intelligenza naturale, il sangue, l’occhio, lo stress, la confidenza con il pericolo.
C’è chi ne muore, come Ascari o Senna, chi si salva come Lauda o Hakkinen, e chi finisce i suoi
giorni nel proprio letto come Nuvolari. Ma resta sempre il pilota la prima centralina del motore.
Ciò non toglie che vincere il mondiale dei costruttori sia una soddisfazione di prima grandezza.
Particolarmente per la Ferrari, che rappresenta il più completo fai da te dei circuiti, quasi tutta fatta
in casa com’è, davvero “costruita” dove nasce.
Gestire la Ferrari non deve essere mai stato facile per la Fiat. Già tenere insieme la 500 e/o un dieci
cilindri da settecento cavalli e passa diventa abbastanza complicato, perché sono due culture, non due
fabbriche. E poi, attorno alla rossa, Agnelli e Luca di Montezemolo hanno dovuto somatizzare quel
mondo a sé, sospeso tra passato e presente, produttivi ed elettronico. 21 anni di fatica bestiale prima
di ritornare ad essere primi: questo spazio di tempo, nudo e crudo, spiega più di mille commenti
quanto iperbolicamente competitiva sia la Formula 1.
Non per nulla, il mondiale appena concluso ha mostrato un baratro nei valori: quattro macchine, poi
il vuoto, come raramente si è riscontrato nella storia.
Oggi abbiamo la Ferrari e la McLaren, stop, fine. I miei figli mi fanno notare che, nelle ultime prove,
tra la Pole Position di Schumacher e il giro di Mazzacane, corrono cinque secondi di differenza! Come
correre e andare a piedi, roba da matti.
La classifica a squadre è a dir poco vergognosa, tecnicamente parlando, visto che Ferrari e McLaren
hanno 130/120 punti in più della terza, che non oso nemmeno nominare per rispetto. Schumacher ha
vinto nove volte, Hakkinen quattro (con 7 secondi posti), Coulthard tre, Barrichello una. Podio alla
mano, sono come scomparsi persino gli outsider.
Ora, è verissimo quello che diceva un vecchio maestro di vita come Schakespeare: “L’emozione che
viene dalla speranza di vincere è quasi uguale a quella della vittoria”. Però qui si esagera perché, in
luogo della speranza di vincere, vige semmai la certezza di perdere contro Ferrari o McLaren, le sole
fra l’altro che possono almeno tentare un sorpasso nonostante aereodinamiche e pneumatici fatti
sciaguratamente apposta per cancellare l’anima della Formula 1. Correre senza sorpassare è un po’
come fare l’amore senza baciare.
E’ stato tutto strano questo mondiale, eppure dice alla fine tante cose con chiarezza. La Ferrari non si
rompe nemmeno se le spari con il bazooka. Ai box, gli strateghi in rosso battono quelli in nero dieci
a zero. Hakkinen conclude con il giro più veloce in Malesia, come per congedarsi con il suo biglietto
da visita. Schumacher ha esaltato, all’inizio e alla fine del mondiale, il meglio della Ferrari e il
massimo di sé. Luca di Montezemolo ha coperto le spalle, con bravura, a uno staff ora nella polvere
ora sull’altare.
Il padre del futurismo, Filippo T. Marinetti, sosteneva che la bellezza della velocità è più bella della
bellissima “Vittoria di Samotracia”, esposta al Louvre. E adesso, con il televisore spento e i 18 mila
giri muti fino al prossimo marzo, che facciamo? Andremo al Louvre.