2001 Gennaio-Luglio Ora solo Maranello può perdere il titolo iridato
2001 Gennaio – Luglio – Ora solo Maranello può perdere il titolo iridato
La Ferrari, guidata da Schumacher I ha vinto il campionato mondiale 2001. Ieri, in Francia, mi pare
che sia successo semplicemente questo, o no?. A questo punto, dovrei aggiungere al ragionamento
la seguente frase di circostanza: “D’ora in poi soltanto la Ferrari lo può perdere”. Però mi rifiuto di
fare tale prudenziale omaggio alla retorica della Formula uno, anche se mancano alla fine ancora
sette circuiti. 31 punti di vantaggio sono troppi, soprattutto se hai davanti quella macchina e quel
pilota. Dai, non scherziamo: Maranello ha concesso il bis dell’anno scorso. Fatto. Prendiamo le
grandi avversarie di sempre, cioè la Williams e la McLaren. Una non è partita (Hakkinen), una non
è arrivata (Montoya), una ha sballato la velocità ai box (Coulthard) e una è uscita dai box che non
sembrava più la stessa (Schumacher II): da vizioso cronico del calcio, avrò il difetto di metterla giù
un po’ troppo alla carlona, ma così è, nuda e cruda, senza tanto menar il can per l’aia, sia pure alla
velocità di trecento chilometri all’ora.
Voglio dire, anzi ribadire, che la Ferrari del Duemila ha ridotto al minimo le rotture, e con ciò sta
facendo la prima grande differenza.
Mi viene in mente come un giornalista americano raccontava la Ferrari, quando ancora lavoravo a
Milano, dunque a metà degli anni Sessanta. Una Ferrari di produzione costava allora sugli otto
milioni, che lui definiva un prezzo d’occasione, se confrontato a quello delle mitiche auto degli anni
Trenta, Con concretezza molto anglosassone, scriveva che la Ferrari non disponeva, ad esempio, del
parafiamma di metallo damaschinato in oro e argento come la Bugatti, ma che aveva una potenza
“selvaggia”. Proprio così, selvaggia, anche se di serie e a un prezzo stracciato.
La Formula One ha poco o nulla di selvaggio, e quasi tutto di iper-iper tecnologico, ma questa
Ferrari fa su per giù lo stesso effetto. Assembla qualcosa in più, roba da millesimi, eppure decisivi
perché Maranello non tradisce mai o, mi correggo, tradisce meno di chiunque. Oddio, bisogna dire
che, come ripete un mio amico, questo sembra ormai il “mondiale delle gomme” più che dei piloti e
dei costruttori. Un’evoluzione incredibile, alla quale nessuno ha fatto ancora il callo: gli stessi
telecronisti vagolano nel buio, dicendo tutto e il contrario di tutto, mentre le immagini mostrano un
mondo fino a ieri pressochè sconosciuto.
Lo zoom cerca il battistrada come fosse la scollatura della Ferilli; i tecnici appoggiano il
termometro sull’asfalto con l’aria dei medici a consulto; i meteorologi hanno ormai sostituito gli
antichi sciamani nell’interpretare il volere degli dei in cielo: basta una nuvola di passaggio ad
abbassare di un grado la temperatura sull’asfalto così influenzando magari l’esito della pole
position!
Roba da matti, anche se in fondo affascinante come ogni tecnica del limite.
L’asfalto è perciò diventato un fattore delicatissimo, come una pelle da interpretare fino all’ultima
ruga, nel nome di Signora Gomma.
In una Formula uno di questo tipo, si capisce benissimo perché certe figure di piloti, vedi il
“vecchio” Jean Alesi, ex ferrarista, conservino con tanta simpatia tra i ragazzi di tutto il mondo
anche quando arrivano doppiatissimi: perché si avviano alla pensione senza l’ultimissima
elettronica, e come nel caso di Alesi, guidando ancora con il pedale della frizione, senza pulsanti e
pulsantini. Un sopravvissuto, si direbbe, che testimonia “come eravamo”.
Ieri la mondovisione s’aspettava a dire il vero una cosa soltanto, Ralf e Michael e viceversa. Il
match c’è stato, ma è durato troppo poco per fare spettacolo.
Schumacher I aveva due avversari in pista. Coulthard per la classifica e il fratello per l’orgoglio:
secondo me, era addirittura più interessato al secondo che al primo, ma questa debolezza lo rende
semmai più normale, più umano.
Nel senso che, se ti chiami Schumacher, tre volte campione del mondo, è chiaro che hai pochissima
voglia di cedere il monopolio del cognome. Non c’è fratello che tenga: e lo si legge in fronte, a
entrambi…
Non chiedetemi di Hakkinen, al sesto ritiro, come ricordano le statistiche del “disastro” (termine
usato dal mio Mika). A questo punto, credo sia un mistero per tutti: colpa della macchina,
dell’elettronica o sua, il fatto è che la sua McLaren sembra diventata una McWagen, anzi un
fuoristrada.
Ne ricavo una grande morale, per niente meccanica: che la gloria è persino più fragile della vita, il
che è tutto dire. La regola vale soprattutto per i numeri uno.
Non guardate mai indietro, diceva il più grande poeta spagnolo. “no mires nunca atràs”, mai.