2001 Gennaio-Luglio Quando allo stadio va in gol la stupidità
2001 Gennaio – Luglio – Quando allo stadio va in gol la stupidità…
L’avesse immaginato, Shakespeare non avrebbe immortalato Giulietta e Romeo a Verona dove c’è
gente che passa la domenica a fare “buuuuu” al primo calciatore di colore che capita sotto tiro. Il
mito dell’amore contro il mito della stupidità. Guardando Telepiù, in diretta per la Roma, ho sentito
il cronista dire: “Lo stupido pubblico di Verona”. Ha detto una cosa giusta, definendolo “stupido”, e
una cosa sbagliata, chiamandolo “pubblico di Verona”.
Fortunatamente non è tutto il pubblico, ci mancherebbe; però occorre ammettere che anche un branco
sputtana uno stadio intero. Quasi per responsabilità oggettiva, come si dice nel calcio: anche se non
tantissimi, sono sempre troppi.
Io vorrei proprio smontare il branco e parlare con ciascuno dei suoi componenti. Sono
matematicamente certo che nessuno saprebbe argomentare il “buuuuu”: ma che cosa avrebbero fatto
ai miei tempi, fischiato Pelè perché aveva la pelle dello stesso colore del cuoio del pallone? Nemmeno
il destro di Batistuta è etnico; è semplicemente il migliore in circolazione, e lo sarebbe anche se
contenesse un bel piede nero come il carbone, o giallo. I suoi 160 gol in serie A, ieri un paio, sono
multietnici.
Quando Owens, un Pelè dell’atletica leggera, fece razzia di medaglie ariane a Berlino nel 1936, l’ex
caporale austriaco Hitler si sentì torcere le budella. Paragonati al nero americano, i suoi superuomini
biondi sembravano correre da fermi, altro che razza superiore: però, diciamola tutta, si capisce più
Hitler che un ultrà razzista!
Dietro Hitler campeggiava il Male, dietro l’ultrà niente, encefalogramma piatto come un’area di
rigore. Ci fosse un’idea, anche orrenda, ma non c’è; c’è soltanto un conato della mente, del tutto
separato dal contesto. Contro il male si combatte ma contro il niente che si fa? E’ una domanda che
ci perseguita da anni e non trova un vero antidoto anche se almeno una cosa la sappiamo. L’Inghilterra
ha fatto terra bruciata, opzione zero, attorno ai suoi hooligans caserecci, e oggi gli stadi di sua maestà
sembrano tanti salottini borghesi della signora Miniver fattaci teneramente amare al cinema.
Conosco a memoria stendardi, boatos, curve, bandiere e invettive, tutto l’armamentario del tifo allo
stato puro: la passione non spaventa mai e certi ultras sono le sette bellezze, pacifiche maschere del
teatro popolare su un palcoscenico di massa, capaci di allegria, di disperazione, di humor. Esagerati
al mille per cento, non violenti; leali, non vigliacchi fino a prendersela per una sciarpa al collo con i
colori della squadra “nemica”.
Il problema degli stadi non è il tifo come tale. Piuttosto, una tenia che vi entra portandosi dietro tutte
le malagrazie e le paure della società. A volte, la partita sembra non interessare nessuno, contando
soltanto il dopo e il prima; o il “buuuuu” acefalo, come a Verona, Roma, ovunque.
Il calcio racconta la società quotidiana, spesso al peggio, perché la esaspera, se ne fa megafono,
multiplo, decibel, fumogeno. Il lanciatore di fumogeni è un classico in materia: a prima vista è un
sadico, invece è un masochista, come bendarsi gli occhi al momento di vedere finalmente lo
spettacolo pagato di tasca propria. Quelle nuvole cieche sono la coreografia del non-senso in uno
sport come il calcio già in sé coreografico.
Il calcio sta rischiando di non essere più visto. Se, come in Inghilterra, lo stadio non riscopre la sua
ragione sociale di fabbrica del gol e del divertimento, il football sarà presto un evento esclusivamente
televisivo. Qui stadio, a voi studio, non viceversa.
Il più delle volte lo stadio è poco confortevole e anche meno rassicurante, mentre il pubblico
televisivo si vede servito sempre meglio. Tra il vivere la partita in mezzo alla gente e il guardarla da
una poltrona comoda quanto poco socievole passa la stessa differenza che tra il giorno e la notte, su
questo non ci piove; solo che oggi l’offerta è troppo sbilanciata: tra l’insicurezza e il comfort, tra il
becerume e il silenzio, finiranno per vincere i secondi. Cioè il campo di calcio a 21 pollici. Con una
consolazione di grande conto: finchè c’è Batistuta c’è speranza, finchè torna Vieri c’è gusto. L’altro
ieri avevo letto una dichiarazione di Vieri: “Senza gol mi sento da schifo”. I goleador sono così,
amano soltanto i gol, come i tenori il do di petto.
Batistuta è onomatopeico, il suo cognome già rimbomba, sembra l’eco di uno shoot di pieno collo,
come lui soltanto sa. Lui non fa da solo la Roma, perché la Roma è già grande di suo, ma Batistuta
consegna alla Roma la potenza di fuoco che non ha mai avuto, I “buuuuu” di Verona sono anche
patetici, oltretutto.