2001 Gennaio-Luglio Quell’asso americano Zanna Bianca del ciclismo

2001 Gennaio – Luglio – Quell’asso americano, Zanna Bianca del ciclismo

Lance Armstrong è un texano mentre Zanna Bianca, il meraviglioso lupo del romanzo di Jack
London, nasceva nel grande, freddo Nord americano. Ma ieri, seguendo in tv il Tour de France,
Armstrong mi ha ricordato Zanna Bianca che incontra un bulldog e ,invece di aggredire all’istante
come fa di solito, resta immobile a guardarlo con gli occhi dritti come antenne. E’ quello che ha
fatto Armstrong con il tedesco Jan Ullrich, il solo avversario alla sua altezza: non lo ha attaccato ma
lo ha guardato e seguito da vicino; tanto da vicino che alla fine, sul traguardo, i due grandi campioni
si sono stretti la mano. In cima ai Pirenei, sotto un sole caldissimo, la più bella corsa ciclistica del
mondo ha siglato un’altra pagina da mandare a memoria. Se da domani a domenica non capiteranno
cose turche, Armstrong vincerà il suo terzo tour consecutivo. Roba da Pantheon dello sport, come
toccò a Bobet, Anquetil, Mercks, Indurain.

Mi piace tantissimo il texano. E non starò a ripetere che il 2 ottobre 1995 gli oncologi gli
comunicarono che – per un calcolo dei testicoli – aveva soltanto cinque possibilità su cento di
sopravvivere. Cinque in tutto, che gli costarono tre mesi di chemioterapia e 518 giorni di
convalescenza.

Acqua passata come un capitolo da Libro Cuore, di dolore e di riscatto. Ma qui voglio parlare
d’altro perché è tutta interessante la sua storia e il suo modo di essere il numero 1 del ciclismo nel
momento in cui il ciclismo farmacologico conosce la sua reputazione più bassa.

Non a caso, appena salito sul podio decisivo, Armstrong ha detto: “Dedico la maglia gialla a chi
ama il ciclismo”. Grazie, thank you campione, visto che, nonostante tutto, restiamo in tanti a gustare
questo sport estremo, sopravissuto alla modernità.

Il francese “L’Equipe” ha definito Armstrong un corridore di ferro, Non lo è sempre stato, come
uomo, ed è lui stesso a confessarlo, quando spiega che la sua vita e la sua carriera hanno avuto per
spinta la “collera”. La chiama proprio così e non è affatto la collera per il cancro; no, no, la sua era
la collera di un ragazzo che detestava il padre perché il padre trattava male la mamma e trattava
male anche lui.

Si diede allo sport, prima il thriathlon poi il ciclismo, odiando il mondo e rischiando di farsi
travolgere lungo un confine esilissimo. Da una parte la droga delle periferie e la teppa; dall’altro lo
sport, come voleva a tutti i costi la madre. Scelse bene. Non crede in Dio, Armstrong. Ma crede in
un sacco di valori. Può salire una montagna all’otto per cento di pendenza a 20,5 chilometri di
media e a una frequenza di ottantacinque pedalate al minuto, ma non è nemmeno questa la sua
intenzione migliore. Sa soffrire, questo soprattutto.

Nessuno si allena come lui e quanto lui. Dice che di ogni corsa vuole conoscere in anticipo ogni
metro d’asfalto; “Con il cuore”, precisa, alludendo a una specie di elettrocardiogramma della fatica
che dovrà sostenere in gara. In allenamento, tanto per fare un esempio, ha provato sei volte la
cronoscalata di questo Tour. Quando i giornalisti lo trovano fresco come una rosa anche su un
traguardo da albo d’oro, lui s’incavola: “Venite a vedermi quando mi alleno. Mi troverete distrutto,
un mostro”. I tecnici sostengono che la preparazione è tutto o quasi. Forse, in Armstrong, con una
rabbia in più: non più la collera esistenziale, ma la rabbia della salute ritrovata.

Quando Gianni Mura, di “Repubblica”, gli ha chiesto in conferenza stampa di definire la felicità, il
texano ha risposto così: “Guardarmi allo specchio e vedere che sto bene”. Constatazione non da
poco mentre la moglie Kristin aspetta per fine anno due gemelli.

Da un sondaggio risulta che il 78% dei francesi, dopo tutto ciò che è successo in Francia e in Italia,
dubita dell’onestà chimica del ciclismo: la stessa squadra di Armstrong, l’Us Postal, è stata indagata
per un farmaco, l’Actovergin, usato da una vita sia nel calcio che alle Olimpiadi, ma tutto da
decifrare. E’ l’incertezza che rovina questo sport, e non solo il ciclismo, finche non si riuscirà a
separare nettissimamente il farmaco necessario, anzi indispensabile, a sforzi disumani, dal doping
che nè aiuta nè sostiene ma anzi accorcia la carriera, spesso la vita, di gente formidabile.

Lance Armstrong, di Dallas, compirà 30 anni a settembre. Un tipo come lui, per le difficoltà umane
e fisiche che ha superato, sembra fatto apposta per dimostrare a lungo che di ciclismo si può vivere
da campioni, non da autolesionisti. Perciò il suo Tour vale persino più di un Tour.