2001 Gennaio-Luglio Sognando Ronaldo icona esagerata del pallone

2001 Gennaio – Luglio – Sognando Ronaldo, icona esagerata del pallone

Indro Montanelli, che è il più bravo di tutti, sostiene da tempo che una nazione litigiosa come la nostra
aveva bisogno del calcio per le sue diatribe: gli inglesi, dice lui, discutono a Oxford e Cambridge, noi
al processo di Biscardi. Il cardinale di Napoli Giordano, che a dire il vero non mi ispira simpatia,
Parafrasa addirittura Karl Marx definendo il calcio “l’oppio dei popoli”. Ce n’è per tutti. Da parte
mia, mi riconosco in una affermazione di Carmelo Bene, attore geniale quanto lunare, che tempo fa
ha detto supergiù così: “In terra ci sono molte squadre, ma in cielo c’è soltanto il Brasile”. D’accordo;
e lo scrittore Vasquez Montalban ha aggiunto: “Se non gli spappolano le gambe o il cervello, abbiamo
un dio minore per un decennio”. Si riferiva a Ronaldo Luiz Nazario da Lima, nato il 26 settembre
1976 in un sobborgo di Rio da un tipografo e da una telefonista, ma cresciuto come talento a Belo
Horizonte, un’ora di volo da Rio.

Mi sono stufato del mercato, dei miliardi, dell’oppio da stadio. Ho voglia di una storia, di un campione
ferito, di un uomo arrivato in Italia come un’icona e consegnato adesso alla più umana delle paure,
che si riassume tutta in una distanza: tra le aspettative (degli altri e sue) e il potere (solo suo) di
esaudirle. Competo dunque esisto, ecco Ronaldo 2001.

Il suo logo era un diminutivo affettivo: “Ronaldinho” che le ragazzine brasiliane garantivano di amare
non stante il suo brutto apparecchio dentario. In Europa sarebbe sbarcato come “il Fenomeno”, scritto
maiuscolo anche sui giornali francesi.

Un campione esagerato non poteva che finire, prima o poi, all’Inter, società fin dalla nascita propensa
all’esagerazione. Iperbolica negli amori, nel denaro come nei suoi idoli, da Mariolino Corso a
Ronaldo.

Del primo, mancino sublime cresciuto a Verona e venerato a San Siro, si diceva che era “il piede
sinistro di dio”. Quando l’Inter prese Ronaldo, fu scritto che avevano “ingaggiato dio come
centravanti”. Che Dio, infinitamente misericordioso, ci perdoni per averlo nominato invano.

Il fatto è che Ronaldo sa essere trasversale, quasi appartenesse non a una squadra ma al calcio di tutti.
Un po’ come capitò a Pelè non, ad esempio, a Maradona, che pure illuminava ogni campo d’immenso.

Ronaldo ha l’aria del fratello buono, del figlio coccolo, dell’amico che ti molla. E’ l’asso della porta
accanto, che sul pianerottolo ti confida di aver fatto la pipì nel letto anche da grande. Dicono che sia
goloso di zucchero, immagino alludendo a samba, carnevale e mulatte belle da morire.

Fatalmente intervistato da Gigi Marzullo, confesserebbe il sogno più normale per un calciatore
carioca: finire la carriera nel Flamengo, al Maracanà, lo stadio da 250 mila posti dove si va alla partita
al seguito delle orchestrine a percussione che dalla tribuna danno il tempo al tifo bailàdo. Soltanto la
si può capire.

Penso a Ronaldo, che ha tutto a 25 anni, ma deve portarsi sempre addosso, dal 12 aprile 2000, recidivo
del 21 novembre 1999, quel dolore da mondovisione che gli tranciò di netto il tendine con il quale la
rotula del ginocchio destro tiene la tibia. Non ci sono precedenti: clinici si, agonistici no. Nel senso
che mai un campione ha tentato di ritornare tale e quale dopo la doppia rottura del legamento rotuleo,
un affarino lungo otto centimetri in tutto e largo poco più di tre, sul quale un atleta come Ronaldo
scarica velocità, dribbling, scatto, tiro, finte, torsioni, arresti e muscoli col botto.

Da ragazzino, i suoi allenatori lavoravano per toglierli i difetti: non colpiva bene di testa, non rendeva
sui calci di punizione e andava spesso in debito di ossigeno nell’ultima mezz’ora (il contrario di Paolo

Rosi che dopo 23 minuti di corsa era capace di 154 pulsazioni anziché 184). Per il resto, i gol di
Ronaldo sono sempre stati da Formula1, basati sulla velocità di punta e sul tocco in accelerazione:
negli anni dei suoi esordi, segnava alla media di 0,94 reti a partita. E, da campione fatto, ha segnato
sempre tanto, in Olanda come in Spagna o in Italia, senza distinguere tra Sudamerica ed Europa.

Il chirurgo dice: “cela farà”, ma lo aveva già detto una volta, anche se stavolta nessuno ha avuto fretta
di forzare il ricupero.

Ronaldo è la storia più vera del calcio meno verosimile. Non deve fare questa cattiveria, di non farcela
a tornare com’era dov’era.

Questione di giorni ormai, e si saprà. “Per me” ha sempre detto Ronaldo “il calcio è una gioia”.