2001 Gennaio-Luglio Valentino, il samurai in un paese di tariconi
2001 Gennaio – Luglio – Valentino il samurai in un Paese di tariconi
Un padre dà al giovane samurai un segreto consiglio: “Tieni ben legato anche un pollo arrostito”.
Valentino Rossi, anni 22, ha incantato il Giappone con l’arte di un guerriero feudale: il suo pollo,
tenuto ben stretto tra le gambe, è una moto Honda 500, della potenza di 180 cavalli, veloce come una
Formula 1 a due ruote. Una bomba: “Se sbagli – spiega Valentino – Non perdona”.
Ho visto il Gran Premio su “Eurosport”, commentato in inglese. Bisognava sentire il telecronista:
“Oh Valentino…”, oh, sembrava un brasiliano della Rede Globo di Rio, altro che flemma britannica.
Questo pilota, figlio di pilota, non vince e basta. Entusiasma, tant’è che personalmente lo considero
la più bella faccia di italiano che portiamo in giro per il mondo. (Se Berlusconi me lo consente).
Scopro l’acqua calda se scrivo che è un asso. Ha già vinto i mondiali delle 125 e delle 250, adesso ci
prova con le 500, che sono la Divina Commedia del motociclismo.
Però non è questo che fa di Rossi quel marchio umano sintetizzato in “Valentino, oh Valentino”.
In un paese di tariconi & affini, lui è uno vero, che alla televisione può anche fare uno sberleffo: era
Valentino prima ancora che una telecamera lo inquadrasse.
L’anno scorso un sondaggio “Abacus” stabilì che era lui lo sportivo più gradito dagli italiani.
E’ bravo, popolare, simpatico: quando ancora correva per l’Aprilia di Ivano Beggio, commentò una
vittoria ringraziando uno dopo l’altro il capomeccanico, il cuoco, gli amici del circo Togni e la
morosa. “Perché – ridacchiò con gli occhi sinceri – me la dà anche quando arrivo ottavo”.
Il ragazzo è fatto a mano e, allo stesso tempo, globale come si usa oggi. Nasce a Tivullia, paesino del
Pesarese, dove gli amici assomigliano a prodotti dell’artigianato locale, da tenere ben stretti,
soprattutto adesso che Valentino vive anche a Londra e parla l’inglese della city con i suoi meccanici
multinazionali.
Dalla Honda prende un ingaggio da tre milioni di dollari, più gli sponsor a sporte, dalla birra
all’abbigliamento, però senza perdere la testa. Ieri pelato, oggi con le basette lunghe, Valentino sa
apprezzare i sentimenti quanto le cilindrate e i contratti d’oro. Ha detto una delle sue: “La squadra mi
tratta sempre con il sorriso”.
E’ un ragazzo così. Professionista finchè si vuole, conserva tuttora il gioco nel motore; si vede lontano
un miglio che ama la moto addirittura più della vittoria, la sfida allo stato puro più della stessa
classifica.
Il circuito resta il suo giocattolo. Suzuka ospitava ieri la prima gara del mondiale 2001, e non si era
messa bene per Valentino Rossi, soltanto settimo sulla linea di partenza. Alla fine ha vinto, con
sorpassi da rodeo, rischiando anche di andare per le terre: dopo aver lasciato alle spalle lo sgomitante
Max Biaggi, ha sollevato il braccio sinistro per fargli con la mano “ ciao, ciao”, come si usa per
sfottere chi non si ama.
Ho sempre pensato che la moto e il vento siano la stessa cosa, e che la paura li riguardi da vicino.
Debbo questo stato d’animo, a uno dei più grandi motociclisti di tutti i tempi, Omobono Tenni: avevo
undici anni quando l’ho visto, con la mitica Guzzi, tutto vestito di pelle nera, vincere a Treviso e a
Padova, dandomi ad ogni giro del circuito l’impressione che arrivasse prima di tutti, beninteso, ma
prima anche del suono.
Ieri a Suzuka, Valentino Rossi ha mostrato anche di capire dove si trovava, virtù non diffusissima tra
i campioni. Suzuka è il circuito della Honda e la Honda significa Giappone come il monte sacro Fuji
Yama, come il regista Kurosawa, o lo scrittore dell’onore Mishima, ma rappresenta dal 1948 anche
il Giappone che ricomincia la sua storia post- Hiroshima, dopo l’atomica.
Passato il traguardo, in piedi sulla moto, Valentino ha eseguito più volte un perfetto inchino in stile
imperiale. Un inchino volante, ripercorrendo il circuito a velocità da parata, come sarebbe tanto
piaciuto ai maestri dei giovani samurai, con la bandiera della Honda al vento.
In mezzo a doping, passaporti truccati e calcio postribolare, un tipo positivo come Valentino è quel
che ci voleva.
Lui sogna che Vasco Rossi gli dedichi una canzone rock, e le ragazzine sognano lui.
Ma Valentino, parola sua, ha già una morosa generosa anche quando arriva ottavo.