2001 Gennaio – Luglio Vincere divertendo: è la condanna di Arrigo
2001 Gennaio – Luglio – Vincere divertendo : è la condanna di Arrigo
Che strana domenica, gente che viene, gente che va, nessuno aspetta più nessuno. Almeno un
vantaggio è assicurato a noi telespettatori: il Sacchi commentatore ha ceduto il posto al Sacchi
allenatore. Meglio così. Sacchi ha già dimostrato ampiamente di essere bravo in panchina e,
nonostante s’industri molto per sembrarlo, non è antipatico. Solo che da troppo a vedere la sua
onniscienza, che a stento riconosciamo solo al Padreterno.
Ho chiacchierato con Arrigo Sacchi una sola volta, a Cortina pensa te, nel luogo meno pallonaro del
pianeta: con le Dolomiti addosso, c’è ben altro cui guardare. Davanti a una spremuta d’arancia e ai
libri di Ilario Sovilla, mi raccontò del mondiale perso ai calci di rigore dalla sua Nazionale, ma evitò
accuratamente di arrampicarsi sulla ”sfortuna”. Il che mi piacque molto. A suo dire, la missione di un
tecnico, oltre che vincere , è divertire. In ciò, è pochissimo italiano, esemplare questo disposto a
perdonare poco all’estetica e quasi tutto al tornaconto. Non per nulla, in vita sua Sacchi ha trovato
“meraviglioso” un solo giocatore: Van Basten, che andava in gol come una festa, con un tulipano tra
i bulloni.
Quando sentiva Sacchi pontificare di gioco a zona purissima, Enzo Bearzot sollevava le sopracciglia
con la stessa energia con la quale i pescatori di Chioggia tirano su le reti. Tutt’altro ct, Bearzot la fa
meno solenne. Per lui la “zona” è propaganda, mentre la realtà è “zona mista”, un po’ spazi un po’
marcatura a uomo, già da decenni,
Il fatto è che Bearzot non considera il calcio una scienza esatta, ma una geometria semplice. Basta
dividere il campo in 10 quadrettini, 4 dietro, 5 in mezzo, 1 davanti, e imparare a rientrare nella propria
zona: sono le sovrapposizioni il mastice che tiene insieme il buon gioco. “Tutto qua”, conclude l’ex
ct mondiale consegnandomi il foglietto dei 10 quadrettini disegnato, tra uno Schioppettino e un
Picolit, nel tavolo di un’osteria a Corno di Rosazzo. Bei tempi friulani, tempi doc.
Il rientro di Sacchi in campionato, aldilà del faticoso 1-1 strappato a San Siro, è molto interessante –
e forse utile – tatticamente. Dopo aver sfottuto a più riprese Trapattoni e Zoff, come Capello e
Tardelli, delle due l’una: o Sacchi dimostra a Parma che anche in Italia si può produrre un calcio più
divertente, oppure dovrà tacersi per sempre. In panchina e in Tv. E’ l’ineluttabile destino dei
predicatori del bel Gioco. Sono tenuti a provarlo sul campo.
Se Sacchi ce la facesse, sarebbe un bel colpo. Ma più per noi che per lo stesso Sacchi: in Inghilterra
e in Spagna si gioca meglio. Per questo il Parma fa un esperimento da seguire da vicino, sul campo
ripeto. “Tropo pensàr fa mal”, avvertiva Nereo Rocco.
Confesso un grosso dispiacere, l’abbandono di Eriksson. Lui va a star meglio, noi no; noi avremmo
bisogno come il pane di gente di gente con l’aplomb dello svedese, un vero signore della panchina,
lo scudetto del fair play anche personale. Ieri mancava dal campionato non soltanto un tecnico che,
tra Svezia, Portogallo e Italia, ha vinto 5 scudetti e una sporta di Coppe, ma una persona seria e gentile
nella montante marea del calcio-teppa.
Ho letto dell’indignazione, e anche dello sconforto, dell’avvocato Sergio Campana. Come dargli
torto, lui che sembrava il gemello di Eriksson? La teppaglia domenicale – vedi Cerona – non può che
provocargli il voltastomaco. E se spaventi i bambini, se preoccupi le famiglie, se non attrai le donne,
lo spettatore medio degraderà. In parole povere, il peggio del pubblico sarà padrone degli stadi.
Già, il forfait di Eriksson è un segnale che non ci voleva. Anche per noi giornalisti, spesso
vittime/attori degli stessi vizi che pretenderemmo di denunciare. Un’ottimo allenatore friulano, che
ha mollato il calcio con largo anticipo sull’anagrafe, mi diceva: “bisognerebbe allenare anche la
stampa”. Consola il fatto, questo sì, che per un Eriksson che lascia, c’è uno Zoff che torna, con il suo
immutabile stile fatto in casa, tutto lavoro e niente immagine. Mentre Sacchi aspira a dire tutto quel
che sa, Zoff sogna di sapere meno di quel che deve dire, pur di non dirlo.
Con Sacchi, ritorna un pizzico di utopia; con Zoff, la scuola utilitarista del Nordest. Con Eriksson, si
ritira l’uomo che venne dal freddo; con Malesani, abbandona l’uomo che venne dal caldo, un veronese
che sembrava uscire sempre dai fumi dello spogliatoio: un giorno festeggiò un gol, fuggendo dalla
panchina e andando a tuffarsi con il paletot della domenica sul grumo di giocatori spanciati per terra.
Gente che viene gente che va, e che gente. Da ieri è un po’ un altro campionato.