2001 giugno 21 Marghera horror

2001 giugno 21 – MARGERA HORROR (1)

In principio, era terra di malaria. In seguito, diventò il sogno di dare a Venezia un polo industriale
con i fiocchi della modernità. Come mettere insieme il Cinquecento della città con il Novecento dello
sviluppo, Tintoretto con la pirite: e fu subito Porto Marghera, fortissimamente voluto dal conte
Giuseppe Volpi di Misurata, capitalista e uomo di potere come pochi altri nella storia d’Italia di
sempre.

Vi si lavorava di tutto, anche il riso, o i cereali dei molini Chiari e Forti. L’emporio del sale e dei
tabacchi era imponente. La società petrolifera “Nafta” smaltiva 40 vagoni ferroviari al giorno: tra gli
anni Venti e Trenta, la trasformazione delle materie prime in riva al mare era considerata “opera di
titani”. E lo era. Nel 1932, decimo anno dell’era fascista, gli investimenti erano pari a un miliardo e
222 milioni, di allora beninteso. Il miliardo privato, i milioni pubblici.

Ho ripensato a questa cifra persa nella notte dei tempi e della finanza quando Giampaolo Schiesaro,
avvocato dello Stato italiano, ha chiesto 71 mila miliardi per i presunti danni chimici procurati in 30-
40 anni, a persone e cose, dal petrolchimico di Porto Marghera!

“70.000.000.000.000”, ha nudamente ed efficacemente titolato il quotidiano “il manifesto”. Come
richiesta di risarcimento, è il record in Italia, anche se largamente superata negli Stati Uniti dalle
intimazioni dei tribunali nei confronti delle multinazionali del tabacco. Letta così, sembra una cifra
che non sta né in cielo né in terra. Però…

Però, un dato processuale fa pensare a un libro di fantascienza, se è vero che sarebbero stati scaricati
nel mare Adriatico rifiuti industriali pari al doppio della laguna veneziana. Avete capito benissimo:
il nostro mare di casa avrebbe accolto senza fiatare, in qualche decennio soltanto, due lagune di rifiuti.
Come aver sversato dentro 80 milioni di metri cubi di robaccia.

Con la forza di una lapide, si legge in un libro di Gianfranco Bettin: “L’ultima stagione del mito di
Venezia è stata la più patetica, in superficie, ma la più aggressiva in realtà”. Gli esperti dicono che
bastano pochi grammi di un cefalo pescato a Marghera per avvelenare una persona.

Il processo di Mestre dura da tre anni buoni, sulla base di due inchieste: quella fai da te di un operaio,
Gabriele Bortolozzo, e quella penale del pubblico ministero Felice Casson. Un lavoro bestiale, di
scavo e di accertamento, nel nome della pubblica salute, qualunque sia la sentenza.

Se fossimo incapaci di dare anche senso etico a tutto ciò, sarebbe segno di inquinamento della stessa
nozione del vivere. Se ci stufassimo di pretendere che il lavoro non danneggi la vita umana,
rinunceremmo a un diritto: l’articolo 1 della Costituzione dice che la Repubblica italiana si fonda sul
lavoro, non sul tumore da lavoro. È noioso contare i morti?