2001 giugno 3 Qui immigrati
2001 giugno 3 – Qui immigrati
Prendo poi l’esempio di Treviso, poi spiego perché. Secondo la Questura, alla fine dello scorso anno
gli immigrati erano 29.260; secondo la Caritas, 36 mila. In un solo anno sono aumentati del 18,5 per
cento, sicché gli extracomunitari rappresentano oramai il 5 per 100 della popolazione complessiva
della provincia di Treviso, con punte del dieci dalle parti di Oderzo e Pieve di Soligo.
Sbalorditiva è la capacità di inserimento nel lavoro: del resto, la disoccupazione qui è al 2,6 per cento,
credo il minimo storico in Italia. Alla Castelgarden di Castelfranco, una delle aziende anche
socialmente più innovative, su un organico di 850 persone lavorano 312 immigrati di 18 nazionalità!
Il lavoro non sta sotto vuoto spinto; si fa società. Nelle scuole elementari trevigiane, studiano 1.796
bambini stranieri, o nomadi, provenienti da 74 paesi. Avete letto bene: 74, quando soltanto quattro
anni fa gli alunni erano un terzo e di 56 paesi.
Tutti pensano che dire extracomunitari voglia dire industria. Balle. Nell’industria vera e propria, sarà
occupato il 35%, mentre aumentano servizi, artigianato, botteghe, di tutto: soltanto nell’assistenza
alle persone gli occupati extracomunitari sono ben tremila.
Come a Verona, Padova, Vicenza, ovunque, il problema numero uno è la casa. Senza casa,
l’extracomunitario resta un numero, un posto, una statistica: così è brutto. Abbiamo bisogno, non di
numeri, ma di persone: dunque di case.
I clandestini rovinano la reputazione ai regolari. La cronaca nera, nella quale primeggiano clandestini
già espulsi ma beatamente in circolazione, fa il resto. Così, sul problema-casa, gli amministratori
locali tendono a dribblare. Evitando grane.
“Spesso i sindaci – sostiene non a torto Cesare Bernini, che dirige Unindustria di Treviso – fanno i
Ponzio Pilato”. Quanto alla Regione, stenta ad arrivare la leggina che consentirebbe di fabbricare su
certe aree annesse alle zone industriali.
Unindustria ha proposto a Comuni, Provincia, enti pubblici: dateci terreni sui quali costruire o
immobili da ristrutturare. Lo facciamo noi; poi noi affittiamo alle aziende che ci pagano il canone
trattenendolo in busta-paga del dipendente; e, dopo un certo numero di anni, avremmo ammortizzato
anche l’investimento. L’idea ci sarebbe ma, senza il pubblico, non cammina.
Ho raccontato alla buona l’esempio di Treviso perché, tra cori razzisti allo stadio e ineluttabili battute
di Gentilini, la città viene rappresentata in genere come una sorta di Norimberga degli anni Trenta.
Intollerante e chiusa, quale non è!
No. Sullo scorbutico problema dell’immigrazione, registro cifre, andamenti, proposte, sia
dell’impresa sia del sindacato, che dimostrano tutt’altra storia.