2001 giugno 7 Il ds Marzotto

2001 giugno 7 – Il ds Marzotto

La Marzotto nasce a Valdagno nel 1836, e viaggia oramai verso la sesta generazione d’azienda, con
più di cinquanta eredi. Campione di tenuta nel tessile e nell’abbigliamento, è la sola impresa rimasta
in campo con il suo assetto familiare e i suoi prodotti fra le tante che andavano per la maggiore negli
anni Cinquanta. Un cippo di storia industriale.

Servirebbero l’anima terragna di un romanziere come Steinbeck e il fresco raccontare di un Max
Gallo per descrivere come si deve la saga di una famiglia e di un marchio resi nobili dal lavoro. E,
anche, dai tipi umani.

Gaetano Marzotto junior, padre di Pietro, assunse duemila operai solo per evitare loro la deportazione
nazista in Germania. Appena preso in mano il Gruppo, il figlio Pietro, oggi 64 anni, si presentò
cambiando tutto il management come il mobilio di un tinello. Gente di carattere, con l’avvertenza di
un intenditore quale Indro Montanelli: “Quando si ha un carattere, è difficile che sia “buon”
carattere”.

Il prof. Giorgio Brunetti, ieri Ca’ Foscari oggi Bocconi, sostiene che il dottor, presidente, cavaliere,
conte Pietro è un prototipo del capitalismo secondo Schumpeter. In parole povere, per creare,
l’imprenditore deve distruggere di continuo nel nome dell’innovazione. Sennò va in crisi.

Una bella “distruzione”, pare, se in otto anni il fatturato del Gruppo è passato da 400 a 2000 miliardi.
L’anno scorso, ha raggiunto i mille e 607 milioni di euro.

Come se fossero passati cinquecento anni di capitalismo, a Nordest e altrove. Al suo atto di nascita
la Marzotto aveva necessità soltanto di una buona valle che procurasse salti d’acqua e boschi (in
montagna) e che si spalancasse sui mercati urbani (in pianura). Multinazionale e globale, la piccola
Valdagno è oggi una testa che produce soprattutto fuori.

Politicamente parlando, Pietro Marzotto è un caso altrettante interessante. Svezzato in una famiglia
di liberali doc, lo appassiona il tema della giustizia sociale: se non si ridistribuisce la ricchezza
prodotta dalla libertà, che ricchezza e che libertà sarebbero?, dico io.

Incapace di fare il pesce in barile come tanti che, potendo, metterebbero al sicuro in Svizzera anche
le opinioni personali, è l’industriale più esplicito che si possa immaginare. In un’intervista a
“Repubblica”, mi ha detto in queste ore: “Nel ’94, nel ’96 e nel 2001 ho votato Ds”.

Lui sogna Blair, un po’ lib(eral) un po’ lab(urista), lib-lab come si dice in gergo. Vota Ds ma pensando
a un partito ulteriore, del tutto fuoriuscito dall’archeologia comunista e dalle troppo sinistre di
Bertinotti, Cossutta, Salvi, Cofferati…

Per il centrosinistra, immagina un partito europeo, nuovo di zecca e unico, liberal-democratico, o
socialdemocratico alla Schroeder, che azzeri anche culturalmente ogni conto con il passato. Preferisce
i Ds alla stessa Margherita, che considera una creatura fin troppo “illuministica dell’anno Cacciari”.

Nello schemino all’italiana, l’industriale dovrebbe stare a destra, comunque. Al contrario, Marzotto
conferma che le anime del capitalismo e del liberalismo (non liberismo!, avrebbe detto Luigi Einaudi)
sono tante, soprattutto dopo il franare del Muro.

Dice che Cofferati sbaglia tutto sulle pensioni e che Amato ha sbagliato a eliminare il ticket sui
farmaci. Sconfitto il centrosinistra, la mette giù così: “Io amo il mio paese e penso che adesso si debba
dire: morto il re, viva il re!”

Detesta sentir parlare di opposizione “dura”, bastandogli che fosse “seria e rigorosa”.

Di Silvio Berlusconi spiega: “È un imprenditore convinto, in buona fede, di dover guidare l’Italia e
di passare alla storia come un buon presidente. Mi auguro, per il nostro paese, che ce la faccia,
sinceramente. Io lo conosco bene Berlusconi”.

Ho parlato con Pietro Marzotto nella sua valle da pesca, dalle parti di Concordia Sagittaria, 820 ettari
metà acqua e metà campagna, che furono bonificati dal padre!

Ogni inverno ha una guerra in corso con i cormorani che si tuffano come Stukas di Goering a divoragli
i tre quarti del pesce!

Per il resto, la buona politica dovrebbe a suo dire essere tutt’altro che guerra, faziosità e mischia sul
nulla. Tra mille lentezze, vede spuntare ceto politico all’altezza: ad esempio, stima molto Enrico Letta
e Bersani, Pera e Fisichella, mentre alla vecchia partitocrazia imputa un peccato capitale: “L’idea che
la politica fosse un mestiere che doveva pagare, in termini corretti o scorretti”.

Peggio dei cormorani, sembra ricordare il conte rosso di Valdagno. Che, però, si dichiara ottimista:
distruggere per creare, da buon capitalista, pensando a un Blair nostrano.

Il centrodestra è tutto Berlusconi: il centrosinistra chi? E partendo da cosa?

Adam Smith ha battuto Karl Marx: materia di governo non è più il proletariato ma, come profetizzava
nel ‘700 l’economista scozzese, “il naturale progresso dell’opulenza”.

Capitalisti come Marzotto, o lo stesso Illy a Trieste, dicono che si può. Si può conciliare opulenza
con sinistra.