2001 giugno Fra destra e sinistra vince il voto bilanciato
2001 giugno? – Fra destra e sinistra vince il voto bilanciato
Ciampi garante super partes, governo di centrodestra eletto il 13 maggio, megasindaci di centrosinistra
confermati il 27. Se lasciamo perdere un momento la faziosità imperante, credo che francamente non
potesse andare meglio di così, a vantaggio di un assetto di potere molto ben bilanciato. Un bene
istituzionale, questo, non di schieramento beninteso. I candidati-sindaci di centrodestra avevano
puntato molto su un voto di scambio che, se nelle loro intenzioni doveva lusingare gli elettori, alla
prova dei fatti li ha invece spaventati o sconcertati. Votate noi, dicevano, per allineare politicamente le
grandi città al governo Berlusconi come birilli, ricavandone per ciò stesso sicuri vantaggi anche
finanziari. Papalepapale, soprattutto Tajani pensava di comprarsi Roma con la promessa strappata al
Cavaliere, neo-presidente del Consiglio. Mica poco: tremila miliardi sull’unghia per la città eterna. I
romani devono essersi detti: Berlusconi a Palazzo Chigi, Storace in Regione, Tajani in Campidoglio.
No, è troppo, meglio ridare una mano al centrosinistra e compensare la stanza dei bottoni. Suppergiù
come a Napoli e a Torino. Per questo è mancato il trascinamento del 13 maggio. Perché ai ballottaggi si
sono mescolate valutazioni amministrative (i candidati) e politiche (il riequilibrio delle forze in campo).
Un voto ragionato, io penso. Ma poi, diciamolo, questa storia dei finanziamenti che vanno e che
vengono, dati o negati a seconda del colore politico del sindaco eletto, è una degenerazione da piazzisti
di tappeti, tanto a destra quanto a sinistra, ovunque si manifesti. Diventa persino banale ricordare che il
denaro dei contribuenti è roba nostra, non loro, e va amministrato nell’interesse generale, non di questa
o quella maggioranza. Il resto è un’idea sultana della politica. Oltretutto, ogni pur timido sforzo
federalista si fonda su pesi e contrappesi, su patti e risorse buoni per tutti. A prescindere, direbbe Totò,
dalla patacca partitica di questo o quel soggetto in campo. Smettiamola. La conferma dei megasindaci
di centrosinistra si dimostra anche più coerente con il paesaggio politico reale. Voglio dire questo:
Berlusconi ha conquistato in Parlamento una maggioranza così netta da poter lavorare per cinque anni
esattamente come si riprometteva, ma un Paese moderno non si lascia misurare soltanto in base ai seggi
uninominali. La società, come sostiene il sociologo Ilvo Diamanti, è più articolata che a Montecitorio e,
gratta gratta nei risultati elettorali, dimostra senza ombra di dubbio che gli italiani si dividono a metà.
Nessuno stravince, nessuno straperde. Ma chi governa ha tutti i numeri per farlo senza andare
all’accattonaggio di voti sottobanco, e chi occupa i municipi metropolitani presidia forti autonomie.
Insomma, dobbiamo abituarci a legittimare, convivere, confrontarci, scontrarci, mediare e accordarci,
abbandonando tra le scorie tossiche un’annata intera di campagna elettorale. Record del mondo. Dalle
super-comunali il centrodestra si aspettava di più, su questo non ci piove: le affermazioni contrarie
sono pura ipocrisia di facciata. Nei panni della sinistra, dimenticherei invece la festa e mi metterei
subito al lavoro, perché il 13 maggio le ha consegnato problemi grandi come colline. Ha detto Veltroni:
«Questa volta abbiamo vinto perché uniti». Come dargli torto «questa volta». Sta di fatto che si
dislocano sul campo sei sinistre: Bertinotti, Cossutta, Salvi, Cofferati, movimentismi verdi, D’Alema.
Più che una sinistra plurale, come piace a Bertinotti, sembrerebbe una sinistra centrifuga rispetto ai Ds,
dentro i Ds e nei loro dintorni. Quarant’anni fa un grande giornalista americano, impegnato in
un’inchiesta sull’Italia, confessò stupore nel constatare che la nuova classe dirigente democratica era
stata tutta educata politicamente sotto il fascismo. Dal voto politico del 13 maggio e da quello
amministrativo del 27, riceviamo la conferma della transizione. Camminano insieme novità e
tradizione, ceto politico alla prima entrata e – vedi Jervolino e Veltroni – gente formata alla scuola dei
grandi partiti del passato. L’Italia non si ridurrà mai a uno spot semplificatorio; coltiva gelosamente
tutte le sue storie, anche le sue nicchie, le sue diversità. Per ora, è il solo… federalismo che abbiamo.
giugno 2001