2001 maggio 14 MiniBossi
2001 maggio 14 – MiniBossi
Il 2 agosto del 1995, Umberto Bossi tenne alla Camera un lungo discorso. Rivolto a Berlusconi, che
lo aveva preceduto, il leader della Lega Nord disse: “Berlusconi deve ricordare quello che io sostenni
al momento della caduta del suo Governo e della sua massimo reazione – quella sì parolaia – nei miei
confronti. Chi cade, dissi, per mano della Lega non ritornerà mai più a Palazzo Chigi!” (Fonte:
resoconto stenografico degli Atti parlamentari).
A Palazzo Chigi, nonostante l’anatema di Bossi, Berlusconi rientra ora alla grande. Porta con sé un
MiniBossi, utile all’alleanza ma ridotto ai minimi termini.
Ma torniamo al 1995, rileggendo un altro documento. Il 5 dicembre la parlamentare Marilena Marin,
da tempo uscita dalla Lega, viene invitata da Berlusconi a mettere nero su bianco, e in via riservata,
un suo Rapporto sulla situazione in Veneto. Scrive la Marin al Cavaliere: “Possiamo ora ipotizzare o
un accordo diretto tra Lega e Centrosinistra o una disponibilità della Lega a correre da sola”.
La Marin non sbagliava: alle politiche dell’anno dopo, nel 1996, le Lega si sarebbe presentata da sola
ma mai come nel 1995 il centrosinistra era vicino a un accordo con Bossi. Per tre ragioni grandi come
una casa: Bossi aveva buttato giù il governo Berlusconi; Bossi sosteneva il governo Dini, inviso a
Berlusconi; presentandosi in solitudine, Bossi favorì poi la vittoria di Prodi su Berlusconi. Questi
sono dati, non opinioni.
Oggi che Berlusconi e Bossi tornano assieme al Governo, sarebbe utile che il centrosinistra si
guardasse allo specchio per indagare un capitolo pochissimo esplorato, anzi rimosso in questi anni.
D’Alema, a dire il vero, ci aveva provato definendo la Lega “una costola della sinistra”, più popolana
che populista; non riuscì però a convincere la sinistra a offrire a Bossi un alibi di ferro: il federalismo.
Sarebbe bastato.
La sinistra non sa più fare alleanze: ieri con Bossi, oggi con Bertinotti e Di Pietro. La sinistra sa
allearsi soltanto con i democristiani, da Mastella a Castagnetti.
Nonostante partisse svantaggiato rispetto a D’Alema, Berlusconi è riuscito a ri-legittimare Bossi dagli
insulti mafiosi, dalla secessione, dall’europeismo alla Milosevic, dagli attacchi scriteriati contro il
“polacco2 (leggi: il papa) e i suoi “vescovoni”, come li chiamava Bossi. Berlusconi ha mandato giù
rospi grossi come Tir e Bossi ha lasciato per strada due milioni e mezzo di voti, dimostrando che mai
alleanza è stata altrettanto faticosa.
Il peccato della sinistra post-comunista è un infondato orgoglio. Chiede sempre troppo agli altri e
poco a sé stessa.