2001 maggio 25 I ribelli veneti

2001 maggio 25 – I ribelli veneti. Diritto e buon senso

Non conosco personalmente l’ideologo degli occupanti del campanile di S. Marco, 9 maggio del 1997
se ricordo bene. Di lui, ho acquistato una decina di anni fa una carta geografica e un libro. La carta
disegnava il Veneto con i nomi di città e paesi in dialetto. In cento pagine, il libro raccontava i
quattromila anni di storia dei Veneti che, nel titolo, l’autore chiamava {mito}. Segato campava così,
stampando, divulgando o scrivendo un mito, una nostalgia di buongoverno, una suggestione, una
pacifica utopia. Per usare le sue stesse parole, {il grande ideale dell’autogoverno di ogni popolo
dell’Europa Unita}. Se questa è un’ideologia, per di più eversiva, allora bisogna rinchiudere al carcere
Due Palazzi di Padova anche il presidente della Regione Galan e il suo oppositore, professor Cacciari.
Entrambi ne hanno dette e scritte di peggio, se questo fosse il criterio di legalità politica. Basta
rileggere i programmi elettorali delle Regionali del 2000, tre anni dopo il campanile. Ex alleato del
lighista Comencini, Galan vuole riscrivere di brutto la Costituzione in senso autonomista e, quanto a
Cacciari, nella sua Costituzione del Veneto Autonomo ricorrono sistematicamente i termini
{autonomia, autodeterminazione, autogoverno}.
Questo per dire che il comune sentire autonomista fa da tempo parte del paesaggio veneto. Non è
un’ipotesi di reato, bensì un territorio istituzionale nel quale si confrontano progetti di {destra} e di
{sinistra}, se proprio insistiamo a utilizzare dei bussolotti in tale caso vuoti. Tanto o poco, il
federalismo toglie sempre qualcosa al centro e non lo restituisce più, ma non per questo è un patto
eversivo. Il problema è questo: con tutto il rispetto dovuto alle sentenze dei tribunali della Repubblica,
qui si tocca con mano lo scarto tra un gesto (dimostrativo) e la sua rilevanza (penale). Ragion per cui
anche un’opinione pubblica che dalla mattina alla sera pretende la certezza delle pene finisce per
augurarsi la liberazione del detenuto Segato, oltre che la restituzione alla sua famiglia di Luigi Faccia,
ora in semilibertà. I Serenissimi del campanile di San Marco non erano né dei terroristi né dei {mone};
non avevano né il piano, né i mezzi, né la vocazione per sovvertire lo Stato o colpire chicchessia.
Sbucavano fuori dall’esatto contrario di un’ideologia anti-sistema e, non a caso, erano i più distanti
dall’idea padana di Bossi. {Una bestemmia per noi veneti}, mi confessò una volta Fausto Faccia, il loro
capo, che sognava un riconoscimento della storia veneta e la visibilità in mondovisione di quel sogno.
In fondo, un’operazione la sua rural-mediatica. A metà tra il profondissimo Veneto e la città santa dei
Dogi, set ideale per la comunicazione di una velleità più identitaria che politica in senso stretto.
Poco dopo l’occupazione del campanile, un grande saggio della sinistra italiana, ma privo dei tabù
della sinistra, come Vittorio Foa, venne in Veneto per capire e per discutere con operai, sindacalisti e
leghisti. Una delle sue conclusioni, del tutto trascurate a sinistra, fu questa: {Non dobbiamo considerare
i problemi dell’autonomia una tematica di destra. Questa la novità}. Chi ci specula o fa spallucce, non
ha capito il tema. Era illegale l’occupazione del campanile e andava sanzionata: su questo non ci piove.
E tuttavia era palesemente simbolica, il fai da te del {popolo veneto} che aspirava ingenuamente a
spiegarsi con il dialetto, non con le parole d’ordine.
Questo è. A mio parere, la scarcerazione di Segato e di Luigi Faccia sarebbe un provvedimento di
giustizia equa. Se il diritto aspira al buonsenso.

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