2002 Bearzot

2002 Bearzot

Mi lasciate parlare di Enzo Bearzot? Sì, sì, proprio lui, quel signore nativo di Aiello
del Friuli che vent’anni fa giusti giusti vinceva il Mundial in Spagna a che proprio
stamattina prenderà possesso a Coverciano del Centro Tecnico. Ho qualche buon
motivo umano, e non solo, per dare aria a questa notizia, passata un po’ distrattamente
nel nostro caravanserraglio. Ha 74 anni il “vecio”, che chiamavamo vecio quando
ancora non lo era, forse per il carattere precocemente di granito. Vive bene a Milano,
ma gli piace un sacco il suo est esistenziale, con casa a Lignano e ad Auronzo, dove
passa l’estate o sverna. È l’uomo di sempre, mundial o in pensione che sia, con gusti
da fogolàr, gli amici pichi ma buoni, la pipa, lo Schioppettino e il Pignolo di Cividale
come vini prediletti, e gli gnocchi in tavola. “Per un friulano doc – ride forte – dovrei
aggiungere la polenta, ma non è vero!”.
A due passi da Firenze, Coverciano ha da sempre l’ambizione di essere il Bò del
calcio italiano, un’università di tattiche, un’incubatrice di mister, una scuola di pallone
pescando dal meglio di noi: che non è affatto poco. Di questa fattoria da allevamento
di panchine hanno fatto presidente Bearzot, ed è la prima volta che si sceglie «uno che
ha praticato calcio e poi lo ha diretto», come all’ex Ct (commissario tecnico della
Nazionale) piace rimarcare. A maggior ragione in un momento come questo, di scarsa
affidabilità del cosiddetto più bello spettacolo del mondo. L’aver scelto, tra tanti, uno
come Bearzot, dà un segnale in controtendenza, coerente ad esempio con uno come
l’avvocato Sergio Campana, tra i calciatori.
Se anche avesse poco potere, Bearzot a Coverciano qualcosa vuol dire, anche da
simbolo. Quando allenava la Nazionale, lui si prese Paolo Rossi dal Vicenza e,
quattro anni dopo, si portò in Spagna il diciottenne Bergomi: voglio soltanto dire che
Bearzot sapeva guardare anche in provincia e anche nel vivaio, senza paraocchi. Per
questo oggi mi dice: “Se perdi i giovani, perdi il calcio”. E, quasi ad evitare sorrisetti
deamicisiani da parte mia, aggiunge subito: “Oh, tutto è cambiato, non è che voglio
fare il romantico o il moralista, ma qualche regola la dobbiamo rispettare, o no?”.
I gusti di Bearzot sono da manuale del buon calciatore, anche come cifra d’uomo. Gli
piace tantissimo Nesta, ma considera Maldini il miglior difensore al mondo, ed è
davvero impossibile non dirsi d’accordo con lui. Se guarda indietro, gli si accendono
gli occhi per Scirea. Ma perché era la serietà e lo stile fatti persona, oltre che la classe.
Da tecnico, all’ex Ct basta ricordare che, con uno come Scirea alle spalle, ogni
difensore poteva giocare tranquillamente d’anticipo, senza l’incubo di rischiare il
buco. Una volta mi definì “inafferrabili” Bettega e Pablito Rossi in coppia, come in
Argentina, visto che mettevano entrambi assieme i piedi buoni e la velocità.
L’Italia è stramba, una volta in carestia un’altra in sovrabbondanza di punte, il che
capita proprio adesso, a pochi mesi dal mondiale di Giuàn Trapattoni. Ho sentito
Bearzot al telefono da Milano, anche per salutarci, che qui il tempo passa. Lui non
invidia il Trap per tutto il ben di Dio che gli offre il campionato in attacco. Ha 22
giocatori da portare via – mi spiega – e più di due per ruolo non potrà mettere. Ergo,
avverte per saggezza, “rischia che se appena non funziona qualcosa i più bravi
saranno rimasti… a casa o staranno… in panchina. Io di questi surplus non ho mai
sofferto”. Buona fortuna, Trap. Visto che prende oggi in mano il Bò dei tecnici
d’Italia, vale la pena di sapere che Bearzot non pensa che il calcio italiano sia il più
veloce, e per questo esteticamente non il massimo in circolazione in Europa. Il Ct
Mundial vede anzi un sacco di passaggi laterali in difesa, cioè il contrario della
velocità.

Allora?, gli ho chiesto. Risposta: “Il fatto è che a centrocampo succede di tutto”. Qui
sta lo stress, il groviglio, il labirinto, la concitazione del calcio all’italiana 2002, ed ha
ragione da vendere se penso a certe partite di ieri, da San Siro a Lecce, da Bergamo a
Venezia.
In parole povere, il nostro calcio è più duro, durissimo, non più veloce. Questo il
teorema di Bearzot, che pur metteva paura da giocatore, e proprio a centrocampo. Ma
non c’è confronto con l’aggressività totale di oggi. È sempre un pozzo di ricordi Enzo
Bearzot, anche se confessa: “I successi sono venticelli che ti accarezzano, mentre
certe ferite, sofferenze, anche offese, non passano”. A Coverciano, da oggi, un pizzico
di Confucio alla furlana non potrà che far bene. Buon lavoro, vecio.