2002 dicembre 28 L’Italia e l’Europa
2002 Dicembre 28 – L’ Italia ha bisogno dell’ Europa
Ma che carogna quest’Euro! Annunciato all’inizio dell’anno come la Fata Turchina delle monete,
sarebbe a fine anno la causa di tutti i nostri guai più quotidiani: l’aumento dei prezzi, l’inflazione, le
mani bucate con gli spiccioli, una diffusa mentalità contabile tuttora agganciata alla lira, il Natale
commercialmente più avaro degli ultimi anni.
C’è del vero, naturalmente, a patto di chiarire subito che l’Euro non c’entra proprio nulla se in
vetrina la stessa focaccia può costare oggi quasi il doppio di ieri oppure se un vecchio valore di ex
100.000 lire viene tradotto al volo in 100 euro, se una corsa di taxi da diecimila lire diventa subito
da otto euro, se ogni arrotondamento viene fatto in alto e se, in parallelo, il potere d’acquisto delle
famiglie tende al basso. In realtà stanno trasformando l’Euro in una larga foglia di fico e in un alibi
emotivo , perfetto per i furbi che funzionano sempre benissimo e anche per quei politici che non
funzionano affatto.
Non date retta e, soprattutto, è vietato cadere nel trappolone. A noi italiani conviene dimenticare
l’Euro e ricordare tassativamente l’Europa.
In parole povere, quali che fossero le vere e/o false controindicazioni della nuova moneta, l’Italia se
ne deve fregare: ha invece da badare soltanto alla sostanza. Le reali controindicazioni dell’Euro
sono minime e passeranno in fretta; ciò che vale mille volte tanto è l’Europa.
L’Italia resta a mio parere il paese europeo che più ha bisogno di Europa, più ancora degli ultimi
arrivati paesi dell’Est post-comunista. Questi ultimi ripartono da zero, dalla tabula rasa del sistema
politico. Noi siamo fermi; abbiamo un sistema che non cammina, dunque arretra.
Non so chi stia peggio se l’espressione più comune in Italia è che non si riesce a “fare sistema”. Che
non funziona “il sistema Paese”. Che il “sistema politico” si rivela da anni incapace di garantire
momenti di coesione nazionale o riformista. Che i grumi di interessi di parte piegano le “regole”
comuni. Che si sta indebolendo il “sistema industriale”. Che il “sistema istituzionale” aspetta le
riforme da decenni.
In nessun Paese al mondo si parla tanto di federalismo senza farlo; di governo forte senza scegliere
con quale modello; di Senato delle Regioni senza l’intenzione di smantellare vecchie e lucrose
rendite di posizione. A dieci anni di distanza non sappiamo ancora dire se davvero ci sia stato il
passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, e il dibattito resta aperto.
La Pubblica Amministrazione è quella che é. Pietro Marzotto, industriale che non ha mai seguito il
branco, predica una regola aurea: è buona soltanto la riforma che abbatte i costi della burocrazia e
che semplifica l’amministrazione pubblica. Se il regionalismo e il federalismo servissero a questo,
sono buoni; se sommassero burocrazia, sono cattivi.
Marzotto considera da manuale dell’orrore burocratico il Passante di Mestre, 32 chilometri appena
per i quali saranno necessari almeno sei anni di procedure, espropri, cantieri e lavori. Il “sistema
Italia” è questo; a Rotterdam o a Los Angeles, dove il tempo è denaro, si farebbe in fretta e furia.
La procedura per la soppressione di alcuni mitici “enti inutili” è stata avviata nel 1956 e si è
conclusa nel 2002. E’ notizia di queste ore, ma non scandalizza nessuno.
L’Italia è aggressiva e competitiva in basso, per merito degli straordinari spiriti animali del
capitalismo piccolo & medio. Fa acqua da tutte le parti nei tradizionali punti di forza del potere
economico italiano, Grande Industria e Stato, entrambi monopolisti di fatto.
Negli anni Cinquanta il New York Times definiva Enrico Mattei, leader dell’industria di Stato e
dell’Eni, “il romano più potente dopo Cesare Augusto”. Adesso, l’Italia è a corto di potenti, sia
pubblici che privati, i primi semmai da privatizzare, i secondi resi nani dalla competizione globale
senza santi protettori.
Ancora nel 1990 uscivano in Europa libri dal titolo: “Agnelli l’irresistibile” con la Fiat sinonimo di
“Impero”. Ieri, in un intervista a “Repubblica”, il prof. Mario Monti, commissario Ue e uomo che
misura le parole, ha dichiarato:”L’Italia sta asfissiando.”
Altro che Euro svantaggioso. Soprattutto in questa fase, il nostro Paese non può fare a meno della
spina dorsale rappresentata dall’Europa. Lasciato a se stesso, perderebbe contatto con i soli
parametri che gli indicano almeno la direzione di marcia.
Il ceto politico è in avaria, nonostante i patriottici appelli di Ciampi. Si scanna per mesi attorno a
uno strumento decrepito come la Legge Finanziaria, ma non investe nemmeno un giorno nella
“reciproca legittimazione” tra schieramenti.
La legittimazione è oramai un fatto compiuto perfino nei Paesi dell’Est, nonostante l’odioso lascito
staliniano. Non lo è ancora in Italia.
Da ogni punto di vista, Euro o non Euro, per modernizzarci abbiamo bisogno di Europa a dosi da
cavallo. Più di chiunque, Turchia compresa.