2002 febbraio 16 Venezia tempo di addii
2002 febbraio 16 – Venezia, tempo di addii
Per la quarta volta in 23 anni (1979, 1989, 1994, e quest’anno), Venezia e Mestre provano a separarsi
in due Comuni autonomi attraverso lo strumento del referendum popolare. Tanta tenacia separatista
vuol dire due cose, la prima delle quali molto ovvia, e cioè che la spinta ad andare ciascuno per la
propria strada è cresciuta negli anni anche se non ha mai superato il fatidico 50 per cento dei voti.
Dimostra inoltre che Venezia e Mestre stanno ancora assieme, ma tutt’altro che felicemente, da
separate in casa: nessuno infatti spenderebbe tempo e denaro su un quesito morto, da archivisti del
territorio. Il capoluogo del Veneto si porta dentro un malessere cronico, su questo non ci piove. Non ne
farei un dramma, e nemmeno uno spurgo istituzionale; né ci si deve sorprendere. A guardar bene, tutto
il Nordest sta ridiscutendo a fondo le sue autonomie, proprio tutte, e non mi riferisco soltanto
all’imminente neo-Statuto del Veneto, ma anche alle due regioni a statuto speciale. Mai il conflitto si è
fatto così acuto come adesso tra Trieste capoluogo e il Friuli storico, mentre le due super-Province di
Bolzano e di Trento stanno discutendo a muso duro se serva ancora tenere formalmente in piedi una
Regione Trentino-Alto Adige/Sud Tirol praticamente vuota di poteri. Insomma, Venezia fa parte di una
ristrutturazione diffusa, magari nervosa ma più che legittima, anche perché lo status quo fa acqua da
tante parti. Dichiaro subito la mia opinione in proposito: sono separatista convinto. Vent’anni fa era
soprattutto Venezia a volere il referendum per mettersi in proprio; poi è stata Mestre a cercare il
distacco da Venezia; oggi sono alla pari. Si separino o no, Venezia e Mestre hanno un problema
finalmente parallelo: ed è forse questa la sola cosa che le fa davvero uguali. Per il resto, non sono
nemmeno parenti, e sarebbe bene smettere di amministrarle come se fossero una cosa sola. Per capire
che la città d’acqua (Venezia) e la città di terraferma (Mestre) non sono per niente “complementari”,
basterebbe rivisitare ciò che il professor Bruno Visentini disse e scrisse fin dai primissimi anni Settanta.
Politico e uomo di cultura trevigiano, che amava Venezia almeno quanto la splendida biblioteca della
sua villa di Vascon di Carbonera, Visentini perdeva la pazienza nel veder trattata Mestre come la zona
industriale di Venezia e, per infantile simmetria, Venezia come zona monumentale di Mestre. Se
Venezia è veneziana, Mestre è veneta; da qui si deve partire con il ragionamento. Venezia ha urgenza
di riconsegnarsi anima e corpo alla propria “specialità”, decretata persino da una legge dello Stato oltre
che dai poeti. E Mestre ha necessità di camminare da sola, come una grande città del Nordest. È
soltanto il futuro , e nient’altro, che consiglia pragmaticamente la separazione, beninteso delle
amministrazioni. Qui non è in ballo l’identità di Venezia. Se anche si frantumasse in dieci Comuni,
Venezia storica non ci guadagnerebbe né ci perderebbe: sarà sempre Venezia, eternamente Venezia,
una città che fa tutt’uno con una suggestione planetaria. Venezia è autonoma di fatto; separandosi con
il Municipio, ratificherebbe anche per legge l’esclusività dei suoi specialissimi problemi. Anche un
gabbiano ha occhi per vedere che la separazione sarebbe coerente con la realtà, non uno strappo da
essa. Qualcuno dovrebbe spiegare dove esiste una città di 70 mila abitanti che deve gestire ogni anno
una popolazione supplementare di 12 o 13 milioni di visitatori, senza contare un pendolarismo circolare
di circa centomila persone al giorno in laguna. Nei giorni di carnevale, la città raddoppia se stessa, dalla
mattina alla sera. Non so proprio come si faccia a insistere sull’“unitarietà”, quando ogni capitolo della
vita quotidiana è radicalmente atipico. Per evitare le cose così come stanno, si porta oggi in campo la
cosiddetta “città metropolitana”, da poco messa nero su bianco tra le forme di decentramento previste
dalla Costituzione italiana. Che cosa dicono i suoi sostenitori? Che non serve separare Venezia da
Mestre, perché la “città metropolitana” gestirà insieme tanti municipi autonomi, compreso quello di
Mestre e di chi richiederà altra autonomia, per esempio Marghera a sé stante. In parole povere,
nascerebbe una SuperVenezia amministrativa circondata da una serie di mezzi municipi, di mezzi
sindaci, di mezze autonomie. Con questi effetti, secondo me: come città veneta, padrona di se stessa,
Mestre non crescerebbe mai e poi mai, senza contare che Venezia moltiplicherebbe all’ennesima
potenza il suo ruolo burocratico, il solo di cui può fare felicemente a meno. Peggio che andar di notte.
Il fatto è che soltanto la separazione semplifica le ragioni del referendum: governare Venezia e Mestre
ciascuna per quel che è. Non esiste una media metropolitana tra il Passante (di Mestre) e il moto
ondoso (di Venezia)! Nordestino per antonomasia il primo, gelosamente serenissimo il secondo.
Battute a parte, le caratteristiche di un’”area metropolitana” come quella della SuperVenezia
complicherebbero da morire anche l’assetto della stessa Regione Veneto. Tanto per cominciare,
l’attuale provincia di Venezia sarà inevitabilmente spaccata in due, con la conseguente nascita della
ottava provincia veneta, tra San Donà a Portogruaro, a ridosso del Friuli. Il territorio avrebbe
probabilmente Arlecchino per patrono. Non solo. Mentre invocano l’“area metropolitana”, idea da
decenni mitica più delle stessa Venezia, gli anti-separatisti sono gli stessi che, un giorno sì e l’altro sì,
rilanciano una seconda vecchia idea, che si accumula sull’altra, preparando il più clamoroso casino
regionale d’Italia. Non invidio il presidente Galan né i suoi successori, di qualunque colore politico. Mi
riferisco al progetto chiamato “Patreve”, dalle iniziali di Padova, Treviso e Venezia. Una specie di
SuperVeneto nel cuore del Veneto, una sorta di area metropolitana veneta, in grande, che farebbe
coppia con l’area metropolitana veneziana, in piccolo! Al confronto, le discussioni regionali in atto da
Trieste a Bolzano come da Trento a Udine, sono dialoghi platonici… Il Veneto avrebbe semmai
necessità di semplificarsi la vita, non di complicarsela; di darsi uno Statuto da grande area europea, non
di appesantire la sua architettura regionale proprio partendo dall’area più affaticata, cioè da Venezia e
Mestre. È macchinosa la città metropolitana, non la separazione. Se poi Venezia aspetta, finirà prima o
poi per subire gli eventi. Possibile che non dica nulla la clamorosa circostanza che perfino la penisola
di Cavallino-Treporti si è appena fatta il Comune tutto suo? Arrivederci e grazie. Il campanile c’entra
poco, anzi niente: qui si ragiona di una soluzione per rendere più efficiente il governo di un unicum
(Venezia) e di una città (Mestre). Sennò, perché insistere fin dal 1979? Una cosa è sicura. Non esiste in
Italia un’area istituzionalmente instabile come il Nordest: è il “laboratorio”, bellezza.
16 febbraio 2002