2002 febbraio 25 Calcio

2002 febbraio 25 Calcio

Prima o poi a noi giornalisti toccherà pagare per scrivere di calcio, e magari versare una quota di
diritti di cronaca per descrivere i gol fatti ieri da Hubner, Di Vaio, Maniero, Vieri o, che
meraviglia!, da Pinzi con l’Udinese a San Siro.Guardate che c’è poco da scherzare visto che questa
idea porta la firma del presidente della Lega calcio francese, non del primo che passa per la strada o
degli amici del bar sport per i quali il giornalista è sempre un po’ iena e un po’ carogna.
No, non è questo il punto. Il dirigente francese propone di equiparare i quotidiani alle televisioni in
base a una inedita proprietà transitiva: se le tv pagano miliardate di diritti di trasmissione, allora
anche i giornali dovrebbero sborsare un bel malloppo per i diritti di informazione. Così li chiama
monsieur Bourgoin: tot pagine di calcio, tot Euro, pronta cassa.
Per prima conseguenza, io credo, saremmo tutti molto più sintetici. Se lo spazio fosse denaro da
versare direttamente dagli editori ai nostri Galliani, Sensi e compagnia bella, le 4.800 battute della
mia domenica si ridurrebbero ad esempio della metà. Non sarebbe male, anzi ci abitueremmo tutti a
un consumo di parole più sobrio.
Quando morì Fausto Coppi, mito del ciclismo, Orio Vergani iniziò l’articolo così:”Il grande airone
ha chiuso le ali”. Da letterato prestato allo sport, avrebbe anche potuto mettere la firma e stop, senza
aggiungere altro a quella immagine. Bastava, e sarebbe costata poco o nulla, secondo i nuovi
tariffari della proposta francese.
Lo sport poi si presta particolarmente a stringere l’essenziale del gesto anche in una sola frase. Una
volta a Monaco di Baviera, dopo un’intervista, chiesi un autografo a Valery Borzov, che era il
Mennea sovietico, e lui, cortesissimo, firmò su un foglietto rosso con un bel 10’’. Dieci secondi
netti, era il suo fantastico tempo sui cento metri piani, nei primi anni Settanta. Come un’impronta
digitale.
Anche Sara Simeoni, la saltatrice in alto veronese, mi sorprese con una risposta durante non ricordo
quale Olimpiade. Alla Gigi Marzullo ante-marcia, allora ero giovane…, le domandai che cosa fosse
per lei la felicità. Non pensò nemmeno un millesimo di secondo:” Un 1 e 97”, mi rispose, per dire la
misura del salto che Sara sognava di fare, e avrebbe fatto.
Questa storia dei giornali che dovrebbero pagare per raccontare il calcio sarà anche una idea
eccentrica, però è il sintomo più clamoroso della monetizzazione totale in corso non soltanto in
Italia. E, anche, della rivoluzione in atto, a tutti i livelli.
Prendiamo gli stadi. Così come sono, rappresentano quasi sempre una voce passiva per i Club, a
cominciare dall’Olimpico di Roma che costa di manutenzione quaranta miliardi all’anno. Cose da
pazzi.
Chi giorni fa ha visto la Juve in coppa, non credeva ai propri occhi. Con 10 mila spettatori, è come
esibirsi nel deserto, vanificando del tutto il teorico vantaggio di giocare in casa. Con uno stadio
tanto elefantiaco, freddo e distante, il “Delle Alpi” di Torino funziona soltanto due volte all’anno:
con i derby tra Juve e Toro, come ieri sera. Allora sì; per il resto, andrebbe raso al suolo e sostituito
con uno stadio a misura di calcio, senza pista, a ridosso del prato, strutturato per fabbricare
spettacolo , servizi e tempo libero , non depressione di massa.
Anche Cragnotti, finanziatore della Lazio, ha annunciato l’altro ieri un progetto all’inglese;
impianto nuovo di zecca, con 40 mila posti a sedere, da tutto esaurito garantito. Insomma, stadi di
stampo londinese, che assomigliano più che altro a ipermercati all’aria aperta, costruiti apposta per
lo shopping del tifo e di tutto ciò che di sano può girare attorno alla partita.
Da anni ha tentato la stessissima operazione il Venezia di Zamparini, ma il presidente che venne in
laguna dal Friuli ignorava ingenuamente alcune storiche risacche veneziane. Se ci vollero 15 anni
per restaurare la Ca’ d’Oro, con uno stadio d’avanguardia minimo occorre moltiplicare per tre.
Anche Sisifo avrebbe faticato meno.
Lo stesso Massimo Moratti ha chiesto modifiche per San Siro dopo il volo di quel povero ragazzo,
spinto nel vuoto dalla mano invisibile di un gol, ma questa è tutt’altra questione, che ha a che fare

con la sicurezza . Come stadio, San Siro è però il migliore d’Italia, il solo che fa sentire lo spettatore
un privilegiato.
Ci sorprendiamo, che ne so, perché la Fiorentina va in serie B, ma ci ritroviamo assolutamente
distratti mentre sotto i nostri occhi tutto si ristruttura davvero in profondità. Nella percezione
popolare, ho come l’impressione che ad esempio sia passata quasi inosservata l’invettiva di Stefania
Belmondo, 45 chili di atleta, oro olimpico a Salt Lake City, contro il doping che droga i risultati e
la vita. “Che schifo”, ha urlato in tv.
Dobbiamo stare attenti. Lo schifo non viene mai da solo.