2002 giugno 29 Mondiale di Corea Giappone. Pre finale

2002 giugno 29 – Mondiali in Corea Giappone –

Questo Mondiale ha fatto di tutto per farsi disistimare e non farsi amare, ma una finale è sempre una
finale. Se non per il presente, almeno per il passato che rappresenta, sette titoli in campo:4 il Brasile
3 la Germania. Questa è storia fatta monumento; e la storia gioca anche a football.
La cornice è all’altezza. Personalmente, porto ancora addosso l’infatuazione degli stadi di Rio, di
Città del Messico, di Buenos Aires, di Barcellona, di Monaco, di Londra, di Berlino, di Montreal, di
Mosca, oltre all’innamoramento fatale per San Siro. Ma penso che Giappone e Corea si siano
davvero superati in modernità, con prati di velluto e impianti marziani pur frequentati da un
pubblico all’antica, carico di allusioni e di riti collettivi.
Il potere degli interessi ha sporcato un Mondiale che il pubblico ha invece ingentilito fino
all’ultimo, meritando ieri l’omaggio dei giocatori turchi (terzi) e coreani (quarti) abbracciati
assieme come un’unica squadra ubriaca di fair play. Sono le sbornie migliori, quelle della festa.
Una volta un re di Francia in visita a Venezia vide la città “imbriaga” di canti e di luci. E ne fu
stregato, raccontano gli storici.
E’ l’operazione che tenterà oggi il Brasile con la Germania. Stregarla di tocchi e di illuminazioni, il
sinistro di Rivaldo, il dribbling di Ronaldo, il pendolo di Ronaldinho,la dinamite di Roberto
Carlos…
Il Brasile è grande 28 volte l’Italia, ha il doppio della popolazione della Germania. Da sole, Rio e
San Paolo fanno sui trenta milioni di abitanti, in un Paese dove il calcio non è uno sport ma la sua
lingua. Loro parlano anche con i piedi.
Quando provai a farmi spiegare il calcio samba direttamente da Garrincha, che all’ala destra era un
mix di Maradona e di Pelé, lui mi fece un grande sdentato sorriso e mi raccontò la sua vita di
foresta, ma per il samba a colpi di finte mi diede appuntamento in campo. Poteva dimostrarlo non
raccontarlo, indimenticabile.
E’ un vero peccato che non ci sia un Mondiale degli allenamenti. Il risultato blinda ovviamente le
partite nel nome dell’essenziale; soltanto gli allenamenti svelano la bellezza del tocco in più, il
pleonasmo della tecnica, il superfluo degli schemi. In fondo, la partita vera è un allenamento
represso.
Se cerchi la festa, vatti a vedere una seduta di allenamento, con palla, del Brasile. Se insegui i
Pitagora delle geometrie, scegli gli olandesi. Se preferisci la media ponderata tra muscolo e ordine,
aspetta al varco i tedeschi. Più che scuole sono sistemi ormonali.
Il luogo comune dice che il Brasile danza e che la Germania corre; che l’uno va di fantasia, il
secondo di cingolati. Il carnevale contro lo Sturm und Drang, l’impeto a fronte dell’invenzione.
Un po’ è così, non ci sono dubbi, però con tante postille a margine. Herr Beckanbauer, reliquia del
calcio teutonico, era più raffinato di un carioca. E gli andanti con brio di Ballack, oggi purtroppo
squalificato, mi ricordano il nostro Antognoni, il fiorentino. Lo stesso Neuville, di madre italiana e
di padre della Svizzera romanda, ha una corsa latina.
Voglio dire che la tradizione tedesca offre qualcosa di più e di meglio del convenzionale panzer. Da
Fritz Walter (1954) a Klose, non ama il minuetto ma conosce a menadito la tecnica della sinfonia.
Il Brasile, per simmetria, ha giocatori più tecnici ma non meno forti fisicamente. La stessa tenacia
clinica di Ronaldo ha qualcosa di germanico,semmai. Basti ricordare che il 16 aprile del 2000 gli fu
ricostruito il tendine rotuleo del ginocchio destro sul quale furono capaci di scommettere soltanto il
suo chirurgo, il campione, la mamma Sonia, Moratti e il Cristo Redentore in cima al Corcovado di
Rio.
E’ strana questa finale perché mette in campo per la coppa tutta d’oro due nazionali a suo tempo
miracolate, che si qualificarono per il Mondiale in extremis, dopo tormentati gironi. A scanso di
retorica, oggi si fronteggiano una Germania tutt’altro che “uber alles” e un Brasile che ha ritrovato
lo spirito di Copacabana soltanto un mese fa.

E’ senza dubbio la Germania più mediocre degli ultimi dieci anni a giocarsi l’anti-pronostico
contro un Brasile piacevole, ma non ancora eccelso. Hanno soltanto 90 minuti per smentire quella
mediocrità e questa ombra.
E le stelle azzurre stanno a guardare.