2002 giugno 4 Ciclismo

2002 giugno 4 – Ciclismo

Il giro d’Italia è finito, viva il ciclismo! Qualcuno dirà che mi sono bevuto il cervello e si chiederà
come sia possibile parlare ancora di questo sport indagato, perquisito, da galera, infestato di
siringhe e di droghe all’ingrosso, cocaina compresa. Rispondo che è tutto vero ma che soltanto uno
sport favoloso può sopravvivere a tanta spazzatura; soltanto una cosa vera fino all’osso può resistere
a tanti falsi d’autore, con tanto pubblico impavido sulle strade.
L’altro giorno ho guardato in tv il tappone dolomitico, 225 chilometri su e giù per le montagne
restando in sella sette ore e 25 minuti. Al confronto, l’ora e mezza di una partita di calcio diventa un
piacevole picnic sull’erba.
Pochi ciclisti sanno davvero raccontare il ciclismo, mentre le Dolomiti sono bravissime nel
raccontare i ciclisti. Si sono visti crolli fisici da ammazzare un bue, tempi rovinosi come prendere
un quarto d’ora di distacco in soli nove chilometri pur avendo addosso la maglia rosa (Evans). Ho
visto gente piangere. Piangere perché non ce la faceva più (Frigo). O piangere perché nonostante
tutto ce l’aveva fatta (Savoldelli).
Anche il linguaggio sembrava alludere all’antica civiltà contadina. I tecnici spiegavano che certe
cotte erano dovute a “crisi da fame”; per altre dicevano che si era “spenta la luce”, evocando un
rusticano duello tra il muscolo e la pendenza.
Sette ore e mezza di Dolomiti alla media di trenta chilometri abbondanti all’ora sono un’impresa
che merita rispetto, chiaro?, e che va presa a futuro simbolo dell’onore del ciclismo. Anzi, di fronte
a sforzi tanto mostruosi, confesso di non aver mai capito come si possa pretendere che i corridori si
nutrano di sole bistecche di Tombolo, di mele della Val di Non, di un bicchiere del Collio e di
vitamina C effervescente acquistata alla farmacia sotto casa.
Qui dobbiamo essere chiari. Al cospetto di certi muri di fatica, il ciclismo si è sempre “integrato”
con qualcosa. Seguendo al esempio il giro d’Italia del 1946, a guerra appena conclusa, un grande e
autorevole giornalista come Orio Vergani spiegava così il brutto momento di Fausto Coppi:
”Continue nausee forse per sbagli nella carburazione chimica, forse per le pinte di caffè che ingolla
prima di ogni tappa per strigliare cuore e muscoli di caffeina.”
Ma allora era per così dire un doping artigianale; oggi industriale. Ieri occasionale; adesso
intensivo. A quei livelli non scombinava la gerarchia dei valori mentre ora li violenta di giorno in
giorno: non voglio fare piratesche allusioni, ma constato che il povero Pantani si è come dissolto, e
di colpo, proprio dove prima era imbattibile, cioè in altura.
Ai tempi raccontati da Orio Vergani, la “bomba” era frutto del fai da te, simpamina o caffeina che
fosse. Ai nostri tempi, è il risultato di una filiera di spacciatori, di addetti sozzoni, di clan omertosi,
di laboratori a tempo pieno e di corridori allevati al doping fin da ragazzi, soprattutto tra i dilettanti.
Il bubbone sta lì, tanto che nei panni della magistratura (penale) e dell’antidoping (sportivo) mi
limiterei a tenere sotto pressione i professionisti ma comincerei a fare terra bruciata tra i dilettanti,
che saranno i professionisti di domani ma sono già oggi chimicamente viziati. Un serio conoscitore
di ciclismo come il trevigiano Egidio Fior mi consegna in proposito una battuta dialettale da
enciclopedia:” Spùncia, spùncia da tosàti, cossa resta da grandi?”, buca buca da dilettanti che cosa
rimane da professionisti? La battaglia contro il doping si prepara dal basso oppure fallirà sempre..
Quanto al Giro, sono ampiamente soddisfatto della vittoria di Paolo Savoldelli, elegante sia in salita
che a cronometro, ventinovenne bergamasco con il soave accento dei suoi boschi e delle sue valli.
Mi piace. Figlio di un imbianchino, sette anni fa aveva smesso di correre e si apprestava a fare il
falegname: fu proprio la squadra della Zalf-Fior di Castelfranco a ridargli il primo contratto, la
voglia e la “soddisfaziòoone” come Savoldelli la chiama cantilenando.
Anche lui, tre anni, sfiorò il limite legale di ematocrito nel sangue, ma deve aver capito, alla fine
vincendo. E’ troppo bello il ciclismo per non capirlo.