2002 maggio 18 Caro Nordest, occhio alla Sardegna!
Caro Nordest, occhio alla Sardegna!Francesco Cossiga, sassarese del 1928, democristiano di
formazione cattolico-liberale, ha un curriculum politico che già mezzo basterebbe a fare una
carriera emerita. Da presidente della Repubblica “una e indivisibile” concluse provvidenzialmente il
mandato picconando di brutto la partitocrazia, a partire dalla Dc, tanto che la cosiddetta “seconda
repubblica” è un po’anche sua figlia naturale.
Quest’uomo coltissimo ed eclettico,amante di studi costituzionali, innamorato dell’Irlanda e di tutti
i luoghi forti delle identità, ha proposto in questi giorni un’assemblea costituente del popolo sardo,
con il compito di redigere il nuovo Statuto, sulla base del quale “confrontarsi “ con il governo
centrale ( in Friuli-Vg. Saro avrebbe detto “trattare”, in Veneto Galan “contrattare” e Cacciari
“negoziare”) . Fate attenzione allo spirito e ai contenuti dello statuto di 112 articoli proposto da
Cossiga.
Il modello è lo Stato autonomo di Catalogna. La nuova costituzione della Regione sarà chiamata
“Noa Carta De Logu”, dal momento che viene stabilita la pari dignità tra la lingua sarda e
l’italiano, con l’obbligo dunque di trascrivere l’atto in entrambe le lingue: nel ricuperare la radice
della nazione sarda, Cossiga non esita a richiamarsi a una battaglia combattuta nel 1409.
La Sardegna, che nel 1847 chiese la fusione con il Piemonte dei Savoia, diventerebbe con questo
statuto una “Comunità autonoma” e una “nazione individuale e distinta” nell’ambito dell’Italia. La
fusione di autonomismo (radicale) e di patriottismo (istituzionale) viene riassunta da Cossiga con
una inedita formula:”Siamo sardi per origine, lingua e costumi; siamo italiani per volontà”.
Da politico di antichissimo pelo, l’ex capo dello Stato unitario oggi padrino dello Stato federalistico
sa ovviamente che per dare voce all’”incompiuta Nazione Sarda”, come lui la chiama, occorrono
una mobilitazione popolare, un movimento trasversale, un moto di tante forze con un comune
obbiettivo. Anche qui Cossiga si ispira alla Catalogna, dove sinistra, centro e destra sono
rappresentati all’interno della stessa “Convergenza” autonomistica.
Qualche giorno fa l’ex presidente ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Chiaramonti, antico centro
dell’Anglona, nel nord della Sardegna. Nell’occasione, parlando il sardo linguisticamente illustre,
sapete quali termini ha usato il senatore della Repubblica Cossiga? “Libertade e indipendentzia”,
riferendosi alla Sardegna, mentre, per riferirsi alla cultura dominante, ha parlato testualmente di:”
Uni cunzettu miope de unidariedade zentralistica”, un concetto miope di unità centralistica.
Ah, dimenticavo.Nella Costituzione italiana la Sardegna è già una regione di tipo speciale, anzi
specialissimo perché modellato subito dopo la guerra sulla Sicilia. Bene: nello Statuto di Cossiga la
specialità raddoppia, anche nel nome della fortissima tradizione di autonomia.
Subito dopo la guerra, il ceto dirigente sardo sognava l’eliminazione dei prefetti, un bilancio di tipo
svizzero, la “devoluzione” (!) di competenze e perfino un “governatore” (!), figura quest’ultima che
fin dal primo Risorgimento un ministro degli Interni, il bolognese Marco Minghetti, aveva
inutilmente tentato di introdurre nello Stato sabaudo attraverso un timido decentramento. Non se ne
fece nulla nonostante quattro disegni di legge sulle “libertà amministrative”.
Riassumiamo le parole d’ordine di Francesco Cossiga: Storia, Autonomia, Statuto, Catalogna,
Confronto con lo Stato, Lingua, Nazione sarda, Movimento federalistico, Indipendenza dal
centralismo non dall’Italia. Chiedo a voce alta: ma tutti questi stessi materiali non sono forse la
copia nata e sputata di anni e anni di riformismo dal basso e/o dall’alto elaborato senza tregua nel
famigerato Nordest?
La risposta è sì, tre volte sì, ma stranamente nessuno batte ciglio in questo caso. Cossiga non fa
scandalo né spaventa gli Agazio Loiero di turno e, tanto meno, il suo autonomismo ultra catalano –
noi ne parlavamo più di dieci anni fa – provoca nella stampa titoli indignati contro la disgregazione
del Paese.
Nessuno invoca l’unità della Patria in pericolo né si permette oggi di ironizzare su un fenomeno
ieri anticipato ampiamente dal laboratorio nordestino. Un fenomeno oltretutto europeo.
Basti pensare che,appena messo da Chirac alla guida del nuovo governo francese, Jean Pierre
Raffarin ha chiarito di voler opporre alla “politica da supermercato”, lontana dalla gente, la Francia
vera,dal basso, la “France d’en bas”. Con quali strumenti, è presto detto: “La regionalizzazione è la
soluzione alla crisi”, parole sue.
All’inizio del suo primo mandato da presidente del Veneto, chiesi a Giancarlo Galan quale fosse la
disponibilità effettiva , cioè politicamente discrezionale , di fondi regionali sui diecimila miliardi
del bilancio . La risposta dei suoi tecnici fu precisa :150/200 miliardi al massimo, una miseria, in un
bilancio quasi tutto blindato e già vincolato.Dopo sette anni, credo che in termini contabili assoluti
il bilancio sia raddoppiato ma che gli spazi di manovra effettivi restino sempre gli stessi:una
miseria. E questo , dopo anni di bicamerali e di “riforme” tra virgolette, sarebbe il Federalismo?
L’esempio di Francesco Cossiga, ex capo dello Stato non capo dei Serenissimi, insegna come
forzare senza timore gli Statuti regionali, compreso quello del Veneto, oramai alle porte.
L’autonomia di stampo europeo non è mai troppa, da Bolzano a Trieste, da Trento a Udine, a
Venezia.