2002 maggio 19 Ciclismo e doping
2002 maggio 19 – Ciclismo doping
Lo squadrone più in forma al Giro d’Italia è la Guardia di Finanza, ma non è detto che prima o poi
non ci sia il ritorno in grande stile della squadra dei Nas. Per non piangere, conviene sorridere con
una guancia sola anche perché il ciclismo, oltre che di doping, è inguaribilmente ammalato di
retorica: ricordate il giorno della partenza? Un campione come Cipollini, presentato fra l’altro come
il portavoce più carismatico della compagnia di giro, ebbe a dire che lor signori erano tutti lì per
correre e aggiunse con sussiego: ”Vorremmo che anche chi ci segue parlasse soltanto di corsa”.
Bella questa! Un giorno arrestano un corridore che, in riva al lago di Garda, spaccia droghe per i
colleghi come il poeta Catullo sfornava carmi per Lesbia, e un altro giorno c’è chi scappa via di
corsa dalla corsa per non farsi subito beccare. Un altro giorno ancora, il buon Pantani avverte
sibillino che i non dopati non potranno mai andare più forte dei dopati.
Tra manette e avvisi di garanzia, una benemerita procura penale sta setacciando l’Italia a caccia dei
mercanti del doping dato che, chiariscono i magistrati, ci sono ciclisti che intendono garantirsi a
tutti i costi “la sopravvivenza agonistica”. Non bastasse, ora le analisi federali scoprono in
laboratorio che anche la maglia rosa sarebbe diuretica, ti fa fare la pipì che è un piacere e con una
bella, imperiosa pipì a comando addio tossine di ogni ordine e grado.
E con questa sequenza in sole sei tappe, si dovrebbe “parlare soltanto di corsa”?! Ma per carità.
Nemmeno i ciclisti riusciranno a distruggere il ciclismo, che un giorno riuscirà a venirne fuori
mettendo al bando tanto l’ipocrisia quanto la chimica, l’una più dannosa dell’altra.
Il ciclismo ha avuto la sua grande occasione, ma l’ha buttata e sprecata, quando fu aperto il dossier
di Marco Pantani. Lui, da numero uno, da imputato simbolo, da leader per bravura, da tribuno del
popolo a due ruote, avrebbe potuto e dovuto farsi carico di una confessione per così dire collettiva:
a cominciare da Pantani, che tutti dicessero finalmente tutto, così ripartendo assieme a lui da zero,
cioè dalla classe, dai muscoli e dalla preparazione, dalla medicina a misura d’atleta e dalla
farmacologia legale, allontanando a calci in culo prima che a colpi di squalifiche gli spacciatori, i
manipolatori, i maneggioni, i banditi del business, i ladri di ordini d’arrivo e di classifiche, i furbi, i
furbetti, i furbastri, i bari, tutto quel sottobosco di amici degli amici che coltivano l’in-cultura di uno
sport invece gigantesco per cultura (della fatica) e per bellezza (del gesto prolungato).
Non pretendiamo tanti Merkx. Pretenderemmo corridori magari meno veloci ma più credibili agli
occhi di un pubblico che non si rassegna agli inganni. Vorremmo società, sponsor e marchi che
considerassero al primo posto proprio la loro immagine industriale e che dunque negassero il
contratto a chi intenda correre sistematicamente sull’orlo millesimale degli esami incrociati di
sangue e urine.
Ci piacerebbe anche che almeno la Federazione ciclistica europea e/o italiana querelasse con
richiesta di cospicui danni economici tutti coloro che, a turno e a ogni controllo non-negativo o
positivo, denunciano complotti. Non se ne può più di gente che prima fa le porcate sportive, poi
pretende la verginità e alla fine prende tutti per fessi.
Un arrestato ha detto che “lo facevano tutti”, il doping, e che a lui pareva di correre accanto a dei
“motociclisti”. Sarà un tipaccio, ma lo capisco, e almeno ci aiuta a fare chiarezza .
Ci sono le sostanze anabolizzanti, eccitanti, defatiganti, eccetera; e ci sono i farmaci che io, da non
esperto, chiamo spazzini o gregari, perché in ogni caso servono a cancellare le tracce delle prime.
C’è il doping artigianale oltre a quello scientifico, simmetrico all’anti –doping, ma ovviamente non
riguarda soltanto il ciclismo.
Solo che, a forza di cattivi pensieri, soprattutto il ciclismo sta perdendo l’innocenza di massa. Poi
non ci si stupisca se l’uomo della strada finisce per domandarsi come mai un Pantani sembri oggi
un gatto di piombo e la maglia rosa un levriero. E’ questo il dramma del Giro.