2002 maggio 24 Lettera aperta a Gilberto Simoni

2002 Maggio 24 – Lettera aperta a Gilberto Simoni coinvolto nello scandalo-doping

Caro Gilberto Simoni,

l’altro ieri primo nel sole, a braccio alzato sul traguardo; ieri segregato in un pullman verso casa,
sotto la pioggia anche dei sospetti: come un’intera serie di Numeri uno, da Pantani fino a Garzelli,
pure lei transita ora sulle strade del ciclismo come un piccolo malandato eroe manzoniano.
Dall’altare alla polvere, beninteso quando si poteva ancora dire polvere senza alludere alla cocaina,
la bianca “droga dei ricchi”.
L’anno scorso mi era capitato di scrivere di lei con istintiva simpatia. Non che la credessi un nuovo
Francesco Moser e tanto meno un Eddy Merkx, che da giornalista ebbi la fortuna di seguire a ruota
sulle Tre Cime di Lavaredo, nell’Alfa Romeo del “Giorno” con l’indimenticabile Gianni Brera e
con Mario Fossati. No, non stravedevo per lei e però mi era parso che il Giro d’Italia le spettasse
allora con pieno merito e che, in salita, la sua pedalata fosse a volte lieve come quella degli scalatori
di stoffa.
Confesso, in aggiunta, che mi piaceva parecchio la sua umanità alpina, la famiglia che le sta attorno,
un grintoso accento trentino, la spigliatezza per niente da maso chiuso ma in un mondo solido sugli
scarponi. Forse c’è un vizio retorico nelle nostre cronache di uomini e biciclette, fatto sta che lei –
avrebbe detto Gino Bartali – mi garbava come personaggino. E proprio le pagine di questo giornale
mi aiutavano a conoscerla più e meglio che la stessa televisione.
Fatta tale premessa personale, mi dica lei cosa pensare di lei. Ma, e questo conta infinitamente di
più, mi dica lei che cosa dovrebbe pensare un sacco di gente, proprio tanta le assicuro, che l’ha
stimata per la classifica generale finale ma, parliamoci chiaro, soprattutto per la scommessa sulla
sua faccia oltre che sulla legalità farmacologica della corsa.
A questo proposito, avrà subito notato che uso apposta il termine “legalità” e non “integrità”.
In un Giro come quello ora in svolgimento, che spinge due benemerite procure penali della
Repubblica a dare la caccia agli spacciatori del gruppo!, noi tutti che amiamo da sempre il ciclismo
ci accontenteremmo a questo punto di stroncare i valori (chimici) senza nemmeno scomodare i
valori (sportivi). Ci basterebbe poco, a guardar bene, un parametro rispettabile e rispettato.
Non dispongo di laboratori né di verbali d’interrogatorio, però guardiamoci negli occhi. Le bugìe di
tanti vecchi Pinocchio del ciclismo di questi anni sembrano oramai sublimi e pedagogiche poesie
per bimbini al confronto della spazzatura che emerge di giorno in giorno. Penso al clan di Pantani,
dove la regola era testimoniare il falso su tutto, perfino sul numero della camera d’albergo.
Garzelli poi, se proprio aveva bisogno di un innocuo quanto piacevole diuretico, bastava che si
portasse dietro venti bottiglie di prosecco! Per non piangere, viene voglia di scherzarci sopra tanta è
l’ipocrisia in circolazione nel vostro girotondo.
Quanto a lei, caro Simoni, il residuo di cocaina sarebbe a suo dire un altro mistero gaudioso.
Una tazza di thè da spiritati? Una puntura di dentista ma non denunciata ai medici del Giro nei
tempi e nei modi dovuti? Mah; mi lasci dire almeno mah, oggi con uno sconcerto pari alla simpatia
di ieri.
Santo Dio, lei aveva vinto lo stesso Giro dei Binda e dei Coppi, non so se mi spiego, e non è più
nemmeno un ragazzino. Era stata l’occasione della vita, non la regola. La vittoria dell’anno scorso
le aveva, giustamente, procurato tanti soldi quanti non ne aveva mai visti in vita sua, e dopo tante
fatiche le aveva fatto assaporare titoloni, paginate, feste, indotto di successo, amicizie di grido,
addirittura troppa roba in un colpo solo.
Tutte queste circostanze avrebbero dovuto consigliarle semmai un supplemento di attenzione verso
certi rischi e certe procedure. Invece no: invece lei va dal dentista per delle ore e con tanto di
iniezione ma, come vivendo di sogni e di stelle alpine, dimentica di segnalare la cosa a chi di
dovere. Sa come si dice in questi casi? Pezo el tacòn del sbrègo.

Se infatti, stando alle sue ipotesi, mancasse il dolo chimico ci sarebbe una colpa disciplinare che
rasenta l’incoscienza, per non dire la dabbenaggine. In parole povere, se ha ragione lei si ritrova a
casa perché sprovveduto, o “mona!” come avrebbe esclamato il grande Nereo Rocco; se fa testo
l’anti doping, è fuori perché ha preso addirittura cocaina. Come dove e quando non riesco nemmeno
vagamente a immaginare.
Non mi scandalizzo più da un pezzo; faccende come questa mi mettono soltanto malinconia. Un
magistrato ha detto:” Ci sono ciclisti che vogliono garantirsi a tutti i costi la sopravvivenza
agonistica.” Un ciclista agli arresti ha specificato:” Tutti fanno doping; a volte mi sembrava di
correre con dei motociclisti.” In riva al lago di Garda si smerciavano droghe per il Giro come il
poeta Catullo sfornava carmi per Lesbia.
Non c’è alternativa. Numeri uno o gregari, maglie rose o signori nessuno, professionisti o allievi di
primissimo pelo, campioni trentenni o giovani rampanti, tutti devono rispondere allo stesso modo.
Pagando, visto che insistono a investire più sul farmaco proibito che sul talento naturale.
Il ciclismo ha avuto la grande occasione per ricominciare tutto da capo, ma l’ha buttata via proprio
quando fu aperto il dossier Pantani. Da imputato simbolo e da leader per bravura, oltre che da
tribuno del popolo a due ruote, soltanto lui avrebbe potuto provocare una confessione collettiva e
definitiva. A cominciare da Pantani, che tutti dicessero finalmente tutto, così ripartendo assieme a
lui da zero e alla pari, cioè dalla classe e dai polmoni, dalla preparazione atletica e dalla
farmacologia pulita, allontanando a calci in culo prima che a colpi di squalifiche i ladri di ordini
d’arrivo e tutto quel sottobosco di maneggioni che coltiva l’in-cultura di uno sport al contrario
gigantesco per cultura (dello sforzo) e per bellezza (del gesto prolungato).
Caro Gilberto Simoni, è un vero peccato che lei non abbia fatto tutto il possibile per restarne del
tutto fuori. Ma voglio sperare che, con saggezza montanara e senza ipocrisia, sia adesso capace di
dire o di inventarsi qualcosa di utile anche ai ciclisti di domani.
La ringrazio, se mi ha letto.