2002 marzo 31 D’Amato
Il presidente di Confindustria insiste da qualche giorno nella richiesta di “dialogo”, stessissima
parola d’ordine del governo: prima si bombarda il sindacato, poi si tratta. Con calore tutto
vesuviano, Antonio D’Amato sostiene che soltanto il dialogo tra le parti farà fare “passi avanti”a
tutti, ed ha ragione da vendere non fosse che, per contribuire alla riuscita dell’impresa, da parte sua
dovrà fare una sola cosa importante ma molto semplice: un bel passo indietro.
E’ infatti D’Amato in persona che ha via via contribuito a rendere l’articolo 18 un’epopea
confindustriale: scelta beninteso convinta la sua quanto improvvida per le conseguenze sul campo.
A mio parere,soprattutto a Nordest si può cogliere la questione ad occhio nudo, senza troppe zone
d’ombra.
Non occorreva attendere l’imprimatur del censimento dell’Istat (istituto nazionale di statistica) per
sapere che l’occupazione sta crescendo da tempo e che da almeno due/tre anni la flessibilità ha fatto
buoni progressi. Mi esemplifica un piccolo imprenditore:” Con i contratti di formazione e il resto,
ho tutto il tempo che voglio per sapere se un operaio mi serve o no”.
Un altro battagliero piccolo-medio imprenditore del mobile, Angelo Piccinin, pordenonese, ex
presidente del Life, è intervenuto lunedì a un dibattito organizzato a Fiume Veneto per raccontare la
sua esperienza .”Se modernizzare lo stato sociale equivale a costruire la casa – ha detto – l’articolo
18 rappresenta…la tintura del caminetto! Cioè l’ultimissimo dettaglio”.
La provincia di Verona, con 850 mila abitanti, ha 92 mila imprese; Vicenza, con 700 mila abitanti,
ne conta 82 mila. Soprattutto nello sterminato settore dell’artigianato e in agricoltura, i grandi
numeri li fa il capitalismo ultra familiare, magari con tre/quattro dipendenti per micro azienda,
commercio compreso.Tutto un mondo nemmeno sfiorato dall’articolo 18, e che consiglia di trattare
partendo invece dagli ammortizzatori sociali.
Ma il bello è che anche i giganti del Nordest, come ad esempio la corazzata United Benetton,
pretendono per voce di Gilberto un maggiore “equilibrio”, virtù che negli ultimi cruciali mesi è
mancata innanzitutto a Confindustria. Sulla stessa linea di energico ricupero di moderazione
interna,anche Rossi Luciani (leader degli industriali veneti) e Innocenzo Cipolletta (per la
Marzotto).E Gianfranco Zoppas, per nove anni alla guida degli industriali del Friuli-Venezia Giulia,
ha spiegato al Corriere perché la trincea non paga.
Non solo. Anticipando di un bel po’ Umberto Agnelli, l’ex presidente degli industriali veneti Mario
Carraro, padovano come Rossi Luciani, aveva già da tempo parlato di “falso problema”.Oggi
aggiunge:”Berlusconi non può fare la Thatcher per la banalissima ragione che l’Inghilterra non
assomiglia in niente all’Italia”.
Valentino Ziche, presidente della portentosa associazione confindustriale di Vicenza, basilica del
capitalismo diffuso, confessa perplessità sulla strategia di D’Amato. E ci credo. Vicenza esibisce
una sfilza di record italiani, nordestini o veneti in fatto di export rispetto al Prodotto interno lordo,
di percentuale di valore aggiunto, di quota di lavoratori stranieri e di servizi: figuriamoci se, con
questo ennesimo boom in atto, ha voglia di giocarsi a muso duro anche una sola fettina di pace
sociale in azienda.
L’Istat segnala non a caso la forte ripresa nazionale degli scioperi tra gennaio e febbraio. Quasi
quattro milioni di ore non lavorate, l’87 per cento delle quali per protesta “politica”: leggi scontro
fra sindacato e Governo&Confindustria.
Per paradosso, proprio le aziende pagheranno da sole tutti i costi della stress sindacale generalizzato
anche se pochissime sono interessate all’art. 18: nel Nordest allargato all’Emilia, le aziende tra i
15 e i 20 dipendenti sono esigua minoranza. Insomma, se il governo andasse alla guerra tirando
dritto per la sua strada, come auspicava fin dall’inizio D’Amato, sarebbero poi gli imprenditori
d’ogni ordine e grado, più che il Governo, ad avvertire il contraccolpo più duro.
Il primo biennio di Antonio D’Amato al vertice di Confindustria scade a maggio. Fu eletto
praticamente dal Nordest, con il patrocinio di Luciano Benetton e di Nicola Tognana, in una fase in
cui era veemente la voglia di decentrare i poteri forti del capitalismo rispetto a Casa Agnelli.
Ma oggi l’impresa nordestina, dalla piccola alla multinazionale, sente di essere presa in mezzo da
uno scontro che la tiene oltretutto al margine; uno scontro politicizzato, radicalizzato e perfino
personalizzato al centro, con scarsa aderenza alle priorità di un Nordest che assume, cerca
lavoratori, delocalizza a Est e nel nostro Sud con un dinamismo che non può blindarsi a lungo sulla
guerra del 18.Non sono un esegeta dei silenzi del vice-presidente di Confindustria, il trevigiano
Nicola Tognana, ma mi pare di notare un defilarsi che non è da lui e che, forse, qualcosa sta a dire.
Altro che “disincanto” a Nordest! Ma quando mai? C’è invece preoccupazione, tensione,
nervosismo, anche perché la funzione di laboratorio non protegge il territorio da forme di
nichilismo rosso organizzato.
Basti pensare che, su quattro città italiane dichiarate in queste ore a rischio terrorismo, due,cioè
Venezia e Verona, sono venete mentre uno specialista come il procuratore della repubblica di
Verona, Guido Papalia, conferma che le province di Udine e Pordenone sono “il cuore” terroristico
dei Nuclei territoriali antimperialisti, sigla Nta.Il conflitto sociale è democraticamente alternativo al
terrorismo ma il terrorismo infiltra il conflitto.
Già il bipolarismo politico all’italiana è malato. Se salta anche il bipolarismo sociale, tra impresa e
lavoro, arriverà tutto il peggio: quando il Nordest lo dimostrasse anche al suo eletto Antonio
D’Amato, oltre che a governo e sindacato, darebbe prova di grande forza pragmatica.
Mettere l’art 18 in coda a tutto, è oggi da ceto dirigente d’avanguardia.