2002 novembre 12 La carta igienica del federalismo
2002 novembre 12 – La carta igienica del federalismo
Lo Stato, i ministeri, la burocrazia, sono entità astratte ma noi siamo riusciti a vederle benissimo in
faccia e a distanza molto ravvicinata. È stato il terremoto a mostrare in diretta televisiva una certa
eterna Italia ministeriale, l’ultimissimo Made in Italy burocratico che ha fatto l’altro giorno il giro del
mondo con scenette che, a dispetto del luogo e del dramma, sembravano spezzoni di Stanlio e Ollio. Il
ministro competente aveva ordinato una inchiesta sul crollo della scuola di san Giuliano di Puglia,
nominando tre super esperti che un alto funzionario del ministero aveva prontamente fornito di mappe.
Ma, attenzione, le mappe di un asilo tuttora in piedi al posto di quelle della scuola crollata sui bambini.
Partiti senza perdere altro tempo, i solerti esperti hanno lavorato in lungo e in largo sul posto del
disastro senza accorgersi di nulla, finendo così per svelare in piena conferenza stampa le ragioni della
caduta della scuola attraverso i dati dell’asilo che con la scuola non c’entrava nulla! Il tutto in diretta tv,
allo spiedo della pubblica opinione non soltanto italiana. Il ministro ha licenziato gli esperti
ministeriali; avrebbe fatto cosa ancora più utile licenziando il ministero al gran completo e ripartendo
da zero. Nei primi giorni del terremoto del Molise, altre mappe avevano messo a nudo l’eterno
girotondo delle competenze burocratiche, vent’anni di prevenzione sismica tenuta per una ragione o per
l’altra nei cassetti di uffici e soggetti incomunicabili. Un esempio da manuale di uno Stato soltanto
costoso, il nostro. Eminenza grigia dell’esecutivo, Gianni Letta ha bisbigliato nella circostanza: “Il
federalismo impone al governo di fissare i criteri, ma poi stava alle regioni fare le mappe sismiche”.
Già, il federalismo, carta igienica del riformismo all’italiana. Meno ce n’è, più lo si risparmia. Negli
ultimi cinque anni, c’erano tre strade per arrivare al federalismo: la commissione bicamerale,
un’assemblea costituente, il parlamento. La prima è morta. La seconda mai nata. Il terzo modifica un
articolo qua un articolo là della Costituzione: è il federalismo alla spicciolata, privo sia di visione
d’assieme sia di spirito super partes. Trasformismo più che cambiamento, pelle più che ossatura.
Mostra solo la superficie del federalismo; per adesso un bel guscio mezzo vuoto, anche se l’Italia
sarebbe tagliata su misura per una costituzione radicalmente federale. Ne avrebbe bisogno come del
pane, per far funzionare meglio il macchinone. Dicono che il federalismo costa troppo. Ci vuole un bel
coraggio a dirlo nello Stato prediletto del debito pubblico. L’inefficienza costa, non il governo federale
del territorio. Questa la realtà. Per un effetto moltiplicatore sui cittadini, lo Stato risulta più burocratico
della sua stessa burocrazia. E oggi appare paradossalmente più centralista di ieri dato che comuni,
province e regioni si vedono aumentare competenze, funzioni, ruolo, ma semmai diminuire gli euro con
cui far fronte al federalismo alla spicciolata. Basti pensare alla legge Finanziaria, trasformatasi via via
in una corsa all’accattonaggio degli enti locali nei confronti dello Stato. Segno più che lampante che le
“autonomie” sono finanziariamente agli arresti domiciliari.
Contro lo Stato delle procedure, a mio parere il federalismo resta più che mai un’idea forte di Stato
leggero, alleggerito più che si può della manomorta burocratica. Stato leggero e Regioni leggere, tanto
più forti quanto più leggere, vale a dire meno ingolfate dalla gestione. In assenza di questa idea
fondante e senza paura, non ci sarà federalismo in Italia. Enrico Cavaliere, presidente leghista del
Consiglio regionale del Veneto, considera questa “una visione romantica” mentre Manuela Dal Lago,
presidente leghista della Provincia di Vicenza, mi replica nel nome dei “piccoli passi”. Flavio
Zanonato, ex sindaco diessino di Padova, lamenta invece il “silenzio” federalista e statutario che
circonda in questa fase il Veneto. Su una cosa ci si può trovare tutti d’accordo. Siamo in una fase molto
faticosa, e l’economia non aiuta a prestare abbastanza attenzione alla forma di Stato. Ma, volenti o
nolenti, è l’ora degli Statuti regionali. In tutto il Nordest tira aria costituente e/o riformista. Lo Statuto
speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol è del 1948, modificato giusto trent’anni fa. Dal dopoguerra è
cambiato tutto; dagli anni etnici è cambiato molto, tanto che oggi la regione è di fatto sostituita da due
piccole regioni provinciali, se così posso chiamarle. Nella storica Regione oramai virtuale, Bolzano e
Trento potrebbero darsi senza scandalo perfino due Statuti autonomi. Lo Statuto speciale del Friuli-
Venezia Giulia compirà 40 anni giusti il prossimo 31 gennaio. Fece da scuola-guida anche per il
Veneto ma, tra modifiche costituzionali (del centrosinistra nel 2001) e promessa devoluzione (del
centrodestra nel 2003), le regioni speciali saranno alla lunga un po’ meno speciali e le regioni ordinarie
un po’ meno ordinarie. In parole povere, domani Friuli-Venezia Giulia e Veneto si assomiglieranno più
di oggi, con Pordenone città plurale e bifronte a fare da sponda a entrambi. Lo Statuto ordinario del
Veneto risale al 1970 e a dire il vero fu profetico anche nel linguaggio. A cominciare dal soggetto
“popolo veneto” per finire alle forme dell’“autogoverno”. Ma proprio in questi 30 anni il Veneto è
cambiato in profondità e , soprattutto, ad una velocità impressionante. Il suo nuovo Statuto dovrà
attestare al meglio questa rivoluzione diffusa e accompagnare la successiva. Giancarlo Galan e la Lega
Nord hanno due idee diverse dello Statuto. Il primo ragiona da presidenzialista, vuole che governi il
governatore con la giunta tutta sua; la Lega tende a far pesare più di oggi il Consiglio, cioè il
tradizionale parlamento veneto. Sono differenze mica da poco, anche rognose. In mezzo a un diluvio
incrociato di Bassanini, di modifiche costituzionali, di competenze concorrenti fra Stato e Regioni, di
devoluzioni e di leggi da attuare nero su bianco, il ritardo del via allo Statuto potrebbe perfino servire
adesso a fissare meglio l’evoluzione! Ma altri ritardi sarebbero la paralisi dell’autonomia. Gli Statuti
rappresentano il federalismo possibile del Nordest. L’autonomia dal basso che si prende tutto ciò che
può, ma proprio tutto. In Parlamento, nel luogo più politico, il Papa ha ricordato alla “diletta” Italia che
le “forzate uniformità” impoveriscono gli stati e che il nostro Paese dovrebbe al contrario “valorizzare
le differenze”. Abbiamo anche la benedizione apostolica.
17 novembre 2002