2002 novembre 17 Burocrazia italiana
2002 Novembre 17 – Burocrazia italiana
Lo Stato, i ministeri, la burocrazia, sono entità astratte ma noi siamo riusciti a vederle benissimo in
faccia e a distanza molto ravvicinata. E’ stato il terremoto a mostrare in diretta televisiva una certa
eterna Italia ministeriale, l’ultimissimo Made in Italy burocratico che ha fatto l’altro giorno il giro
del mondo con scenette che, a dispetto del luogo e del dramma, sembravano spezzoni di Stanlio e
Ollio.
Il ministro competente aveva ordinato una inchiesta sul crollo della scuola di san Giuliano di Puglia,
nominando tre super esperti che un alto funzionario del ministero aveva prontamente fornito di
mappe. Ma, attenzione, le mappe di un asilo tuttora in piedi al posto di quelle della scuola crollata
sui bambini.
Partiti senza perdere altro tempo, i solerti esperti hanno lavorato in lungo e in largo sul posto del
disastro senza accorgersi di nulla, finendo così per svelare in piena conferenza stampa le ragioni
della caduta della scuola attraverso i dati dell’asilo che con la scuola non c’entrava nulla! Il tutto in
diretta tv, allo spiedo della pubblica opinione non soltanto italiana.
Il ministro ha licenziato gli esperti ministeriali; avrebbe fatto cosa ancora più utile licenziando il
ministero al gran completo e ripartendo da zero. Nei primi giorni del terremoto del Molise, altre
mappe avevano messo a nudo l’eterno girotondo delle competenze burocratiche, vent’anni di
prevenzione sismica tenuta per una ragione o per l’altra nei cassetti di uffici e soggetti
incomunicabili. Un esempio da manuale di uno Stato soltanto costoso, il nostro.
Eminenza grigia dell’esecutivo, Gianni Letta ha bisbigliato nella circostanza:”Il federalismo impone
al governo di fissare i criteri, ma poi stava alle regioni fare le mappe sismiche.” Già, il federalismo,
carta igienica del riformismo all’italiana. Meno ce n’è, più lo si risparmia.
Negli ultimi cinque anni, c’erano tre strade per arrivare al federalismo: la commissione bicamerale,
un’assemblea costituente, il parlamento. La prima è morta. La seconda mai nata. Il terzo modifica
un articolo qua un articolo là della Costituzione: è il federalismo alla spicciolata, privo sia di visione
d’assieme sia di spirito super partes.
Trasformismo più che cambiamento, pelle più che ossatura. Mostra solo la superficie del
federalismo; per adesso un bel guscio mezzo vuoto, anche se l’Italia sarebbe tagliata su misura per
una costituzione radicalmente federale. Ne avrebbe bisogno come del pane, per far funzionare
meglio il macchinone.
Dicono che il federalismo costa troppo. Ci vuole un bel coraggio a dirlo nello Stato prediletto del
debito pubblico. L’inefficienza costa, non il governo federale del territorio.
Questa la realtà. Per un effetto moltiplicatore sui cittadini, lo Stato risulta più burocratico della sua
stessa burocrazia. E oggi appare paradossalmente più centralista di ieri dato che comuni, province e
regioni si vedono aumentare competenze, funzioni, ruolo, ma semmai diminuire gli euro con cui far
fronte al federalismo alla spicciolata.
Basti pensare alla legge Finanziaria, trasformatasi via via in una corsa all’accattonaggio degli enti
locali nei confronti dello Stato. Segno più che lampante che le “autonomie” sono finanziariamente
agli arresti domiciliari.
Contro lo Stato delle procedure, a mio parere il federalismo resta più che mai un’idea forte di Stato
leggero, alleggerito più che si può della manomorta burocratica. Stato leggero e Regioni leggere,
tanto più forti quanto più leggere, vale a dire meno ingolfate dalla gestione. In assenza di questa
idea fondante e senza paura, non ci sarà federalismo in Italia.
Enrico Cavaliere, presidente leghista del Consiglio regionale del Veneto, considera questa “una
visione romantica” mentre Manuela Dal Lago, presidente leghista della Provincia di Vicenza, mi
replica nel nome dei “piccoli passi”. Flavio Zanonato, ex sindaco diessino di Padova, lamenta
invece il “silenzio” federalista e statutario che circonda in questa fase il Veneto.
Su una cosa ci si può trovare tutti d’accordo. Siamo in una fase molto faticosa, e l’economia non
aiuta a prestare abbastanza attenzione alla forma di Stato.
Ma, volenti o nolenti, è l’ora degli Statuti regionali. In tutto il Nordest tira aria costituente e/o
riformista.
Lo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol è del 1948, modificato giusto trent’anni fa.
Dal dopoguerra è cambiato tutto; dagli anni etnici è cambiato molto, tanto che oggi la regione è di
fatto sostituita da due piccole regioni provinciali, se così posso chiamarle. Nella storica Regione
oramai virtuale, Bolzano e Trento potrebbero darsi senza scandalo perfino due Statuti autonomi.
Lo Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia compirà 40 anni giusti il prossimo 31 gennaio. Fece da
scuola-guida anche per il Veneto ma, tra modifiche costituzionali (del centrosinistra nel 2001) e
promessa devoluzione (del centrodestra nel 2003), le regioni speciali saranno alla lunga un po’
meno speciali e le regioni ordinarie un po’ meno ordinarie. In parole povere, domani Friuli-Venezia
Giulia e Veneto si assomiglieranno più di oggi, con Pordenone città plurale e bifronte a fare da
sponda a entrambi.
Lo Statuto ordinario del Veneto risale al 1970 e a dire il vero fu profetico anche nel linguaggio. A
cominciare dal soggetto “popolo veneto” per finire alle forme dell’”autogoverno”.
Ma proprio in questi 30 anni il Veneto è cambiato in profondità e , soprattutto, ad una velocità
impressionante. Il suo nuovo Statuto dovrà attestare al meglio questa rivoluzione diffusa e
accompagnare la successiva.
Giancarlo Galan e la Lega Nord hanno due idee diverse dello Statuto. Il primo ragiona da
presidenzialista, vuole che governi il governatore con la giunta tutta sua; la Lega tende a far pesare
più di oggi il Consiglio, cioè il tradizionale parlamento veneto.
Sono differenze mica da poco, anche rognose. In mezzo a un diluvio incrociato di Bassanini, di
modifiche costituzionali, di competenze concorrenti fra Stato e Regioni, di devoluzioni e di leggi da
attuare nero su bianco, il ritardo del via allo Statuto potrebbe perfino servire adesso a fissare meglio
l’evoluzione! Ma altri ritardi sarebbero la paralisi dell’autonomia.
Gli Statuti rappresentano il federalismo possibile del Nordest. L’autonomia dal basso che si prende
tutto ciò che può, ma proprio tutto.
In Parlamento, nel luogo più politico, il Papa ha ricordato alla “diletta” Italia che le “forzate
uniformità” impoveriscono gli stati e che il nostro Paese dovrebbe al contrario “valorizzare le
differenze”. Abbiamo anche la benedizione apostolica.