2003 febbraio 23 Onu

2003 Febbraio 23 – ONU

Per i teologi ha senso discutere di guerra giusta o ingiusta. Per i giuristi di guerra legittima o non
legittimata. Per gli strateghi di guerra preventiva. Per la diplomazia di guerra con o senza l’Onu. Per
le opinioni pubbliche di guerra ineluttabile o ancora evitabile. Ma é un non-senso storico invocare la
pace “senza se e senza ma.”
Questa idilliaca pace priva di condizioni e di variabili non è il contrario della guerra. E’ il contrario
della storia, che è fatta precisamente di “se” e di “ma”.
Soltanto “di se e di ma” si nutre duramente la democrazia, per definizione il terreno del possibile. Il
“se” permette l’esercizio effettivo del potere di scelta, tutto fondato sulla realtà . Il “ma”fonda il
potere di precauzione.
I se e i ma sono la politica, soprattutto quando guerra e pace si presentano all’ordine del giorno .
Soltanto Hitler, guardando il mappamondo, poteva decidere in solitudine la “guerra senza se e senza
ma”, totale e totalitaria, che avrebbe dovuto condurre a una pace altrettanto senza se e senza ma. La
sua nera pacem in terris, pacificata dalla croce uncinata.
Non si è mai visto al mondo governo democratico senza se e senza ma. Mai vista un’opinione
pubblica che, rimuovendo in via preventiva l’idea stessa del conflitto, riesca ad essere davvero utile
alla pace.
Non per nulla il precedente più vicino del no “senza se e senza ma” alle guerre risale al pacifismo
della vecchia Urss, che lo usava come maschera della sua propaganda internazionale.
L’equidistanza pacifista tra Mosca e Washington favoriva la prima; la neutralità pacifista fra Stati
Uniti e Urss valeva da fiancheggiamento della seconda.
In quegli anni il classico né/né dei Paesi non allineati aveva, agli occhi di Mosca,
l’incommensurabile pregio di parificare comunismo e democrazia, Nato e Patto di Varsavia,
l’Occidente e il suo contrario a stella rossa. Quel né/né non era una tattica di pace, ma una strategia
di guerra fredda.
Quando oggi si dice né con Bush né con Saddam, l’utopia della pace si arrende all’ideologia più
militante. E’ il destino segnato di tanti sbrigativi né/né. Attraverso un’altra sua tragica
manifestazione – né con lo Stato né con le Brigate rosse – perfino il terrorismo poté godere in Italia
della più disinvolta delle assimilazioni.
Non bastasse, la “pace senza se e senza ma” gioca contro l’Onu, non a suo favore. Questo almeno
deve essere chiaro.
E’ l’Onu che pone da anni i suoi “se” e “ma” a Saddam Hussein. L’incarnazione dei “se” e dei
“ma” sono gli ispettori, le sanzioni, gli embarghi, i divieti di volo, le risoluzioni di condanna, gli
ultimatum. E anche la guerra sotto le bandiere dell’Onu, come nel 1991 e, forse, come domani.
Per quanto pacifica, l’Onu prevede nel suo statuto anche la guerra. “Disarmare” Saddam può essere
un’operazione di controllo e di dissuasione; ma può richiedere un intervento armato con l’avallo
internazionale.
I se e i ma rappresentano l’essenza della politica e della diplomazia dell’Onu. Quando Bush facesse
la guerra senza le Nazioni Unite, non c’è dubbio che infliggerebbe un colpo brutale alla loro
funzione, al loro ruolo, alla loro stessa ragione di esistere. Ma il pacifismo “senza se e senza ma”,
che reputa criminale anche una guerra in ipotesi votata dall’Onu, ha già misconosciuto le Nazioni
Unite. Più e prima di Bush.
Con il pacifismo dei “senza” si banalizza all’inverosimile la crisi irachena, al contrario la più
complicata degli ultimi 40 anni: dai missili sovietici a Cuba in poi. Una guerra “strana” la definisce
non a caso l’ottima rivista Limes .
La superpotenza americana paga la sindrome da impotenza. Vede l’ 11 settembre davanti a sé, non
alle spalle. Le Torri ingombrano il suo futuro più che la memoria. Questo il punto cruciale.
In Israele sono state distribuite le maschere a gas; negli Stati Uniti sono finite le scorte di nastro
isolante da mettere alle finestre. La loro strana guerra vive di percezioni radicalmente asimmetriche

rispetto all’Onu e soprattutto alla cosiddetta Europa, oggi più vicina all’espressione geografica che a
una Unione.
Spesso si dice che sia tutta una guerra dei texani della Casa Bianca per il petrolio. Piano. Facendo la
conta dei soli brutali interessi in campo, la Francia dimostra di averne più degli Usa da almeno
vent’anni. Da ultimo lo ha documentato in lungo e in largo l’insospettabile settimanale francese
“L’Express” nel numero di domenica 16 febbraio scorso.
La miscela della guerra americana è meno elementare degli slogan. Si tengono insieme l’ 11
settembre, lo choc da terrorismo, il senso religioso dell’America , l’ossessione chimica, la geo-
politica dell’area madre di ogni conflitto contemporaneo.
Tanto stress concentrato in un solo punto produce negli Usa un’urgenza quasi biblica di punire
Saddam, che Lucio Caracciolo definisce “massacratore di massa” e al quale gli stessi informatissimi
francesi attribuiscono “quasi tre milioni di iracheni in esilio”. L’America ha fretta militare, l’Onu
pazienza diplomatica; la prima è pessimista, la seconda cerca compromessi.
E’ una stessa idea di Saddam ma sono due idee di sicurezza Non esiste una terza via, senza se e
senza ma e senza Saddam.