2003 febbraio 23 Sport e debiti
2003 febbraio 23 – sport e debiti
sor indebitata fino al collo (2000 miliardi e passa).
Gli ultri,super, arcimecenati del football si arrangino. Se la godono? Se
la godano. Se la passano male? Fatti loro. Non ce la fanno? Falliscano, e
semmai si ricomincia da capo, come a Firenze, sennò pazienza.
Si fa più fatica a vendere bene la Fiat che a trovare su piazza un
presidente da stadio. Con tutti i difetti, il calcio resta una calamita
pubblicitaria: è sempre la più comoda fabbrica di titoli a nove colonne
oggi a disposizione. Ed è anche il giocattolo di famiglia per gli Agnelli
o per i Moratti se non il tempo libero di Silvio Berlusconi.
I poteri pubblici di ogni ordine e grado dovrebbero preoccuparsi
soprattutto di quello sport che, tanto per capirci, continuiamo a
chiamare “dilettantistico”, lo sport di base, lo sport dei primi vivai,
lo sport che alla fine fa spuntare impensabili medaglie olimpiche da
milioni di praticanti. Lo sport che mai come adesso sta tirando la
cinghia e che aspetta da tempo una leggina che ne riconosca fiscalmente
ruolo e meriti popolari.
E’ obbligatorio dare una mano allo sport dal basso e magari sfoltire
qualche sua burocrazia. Mi diceva l’on. Manlio Contento di An, friulano,
giovane sottosegretario al ministero dell’Economia, che metà del soldi
destinati al Coni pagano in sostanza la struttura, più di duemila
dipendenti.
Ma il calcio è il primo a dover rifare drasticamente tutti i conti, dopo
che le cicale si sono divorate per anni le formiche. Una botta di
austerità diventa coerente anche con i conti dello Stato, vedi la legge
Finanziaria appena passata alla Camera . A forza di vedersi negare fondi
alla scuola e alla ricerca, la ministra Letizia Moratti si è messa
letteralmente a piangere, testimone l’ex ministro ulivista Tiziano Treu.
E sono stati negati 30 miseri miliardi di lire perfino alla Cassa degli
artigiani.
Anche per decenza e congiuntura, è ora che la serie A curi la sua
elefantiasi contrattuale. Negli anni ’70, il primo a superare il tetto
dei 100 milioni di ingaggio fu Gianni Rivera. Negli anni ’80, Paolo Rossi
toccò quota 500 milioni. Poi, negli anni ’90, Gianluca Vialli sfondò il
muro del miliardo di paga all’anno. Ora Rivaldo e Recoba hanno raggiunto
i 15 miliardi di lire.
Dico una cosa. In queste ore si è vista tutta una stupenda serie di gol
da campionato del mondo: penso a quelli bolognesi di Cruz e di Signori (
che campione, che persona bella), o a quelli del ventenne Caracciolo, di
Morfeo e di Batistuta, che ha aperto l’interno del piede meglio del
palmo della mano. Penso ai triangolari gol-di-gruppo dell’Udinese. Ma per
quanto ogni settimana il calcio riesca a regalare a noi spiritati tifosi
gesti anche impagabili, l’evoluzione dei costi del cosiddetto
“spettacolo” è al di fuori di ogni tasso umano di inflazione e di ogni
grazia di Dio. Questo il punto.
Quella provvidenziale sciagura che sono i presidenti del pallone
dicono di voler ridurre subito i salari del 50 per cento. 50 , 40 oppure
30, urge anche un dietrofront mentale, non soltanto contabile.
Faccio un esempio. Per passare il turno europeo della Coppa sovrana,
Juve Milan Inter e Roma hanno utilizzato una quarantina di calciatori
stranieri! Ma siamo sicuri che servano proprio tutti, con l’indotto
finanziario che scatenano ovviamente al rialzo? Il bello è che poi
celebriamo il sospiratissimo successo delle nostre quattro beneamate come
un exploit del “calcio italiano” doc.
Un altro esempio, a proposito di arbitri. Al via del campionato, sono i
“migliori del mondo”, parola dei presidenti; a neanche metà campionato, è
gente da “associazione per delinquere”. Oltre che i bilanci, lor signori
dovrebbero cominciare a risanare i cervelli.
Prima ruffiani, poi deliranti.