2003 maggio 25 Altro che tramonto

2003 maggio 25 – Altro che tramonto. Il Nordest c’ è ancora.

E’ un appuntamento di stagione, come l’arrivo delle rondini a primavera.
Ad ogni assemblea confindustriale corrisponde il de profundis sul cosiddetto {piccolo é bello}, che
sarebbe il capitalismo delle micro-imprese sotto i dieci addetti ma più in generale tutta una cultura
economica media e piccola. Da qualche anno a questa parte siamo condannati a questa cronica
geremiade soprattutto a carico del Nordest, che fino all’altro ieri sarebbe stato (retoricamente)
il {mitico Nordest} e che adesso sarebbe (strutturalmente) il nano.
A dire il vero, oramai avevamo fatto il callo all’idea di essere, come ci dicevano gli esperti del ramo,
un gigante economico ma un nano politico. Di male in peggio, ora saremmo invece nani in tutto, nani
che più nani non si può, sia in sviluppo che in politica, insomma con culo per terra, seduti su un
capitalismo dialettale, tutto casa e famiglia, perciò destinato all’eutanasia internazionale. Amen.
Mentre scrivo ho sopra il tavolo una serie di articoli, di dichiarazioni, di cifre citate qua e là, ma per
favore non chiedetemi di ricapitolarli e andiamo invece al sodo.
A mio piccolo parere, il piccolo é bello non funziona come un vestitino di stagione, usa e getta; è un
habitat mentale prima che produttivo, riguarda una cultura orizzontale oltre che il suo Pil diffuso.
Questa via Lattea piccolo-media si allunga da Trieste a Verona, da Venezia a Bolzano. Dimostra di
tenere ancora e, in base ad alcuni dati di fatto, scommetto che non ha ancora esaurito la spinta
propulsiva.
Con una premessa da asilo infantile tanto pare ovvia.
Non vedo cioé in base a quale mistero genetico il Nordest dovrebbe sfuggire a priori alle difficoltà
competitive che sono un pò di tutti, compresa la mitica Germania, appena ieri celebrata come la
locomotiva cui attaccarsi con le unghie e di colpo presentata come una schifezza poco flessibile e
molto indebitata.
Oggi si vive in solido, questo il punto. La società é in solido come l’economia, ciascuno ne risponde
per quota.
Si vive, si lavora, si consuma in solido. Sono sparite le isole e chi si isola di solito é perduto.
Poiché tutto si tiene più che mai, anche il Nordest ha un po’ di grane tipicamente sue e un po’ di
preoccupazioni condivise con il resto del mondo. Tutto qua, secondo congiuntura, senza che si avverta
la necessità di esercizi sado-maso sulla crisi fatale peraltro vaticinata da almeno un decennio.
Un esperto in materia, il prof. Paolo Gurisatti, sostiene anzi che i distretti industriali del Nordest
funzionano simbolicamente come le nostre città e le nostre vecchie osterie: Si entra, si esce e si vive
assieme. Aggiunge che non sono affatto al capolinea anche se andranno incessantemente aggiornati
e se saranno fra dieci anni magari molto diversi dagli attuali. Senza contare che restano un buon
modello di modernità anche per l’estero. Andate a chiedere agli imprenditori del Nordest, soprattutto
quelli di ultima generazione, che cosa li preoccupa. L’overdose di burocrazia, la carenza di
infrastrutture, in una parola il sistema. Altro che la palla al piede del piccolo capitalismo; é il grande
disservizio che pesa da anni e annorum sul lavoro e sull’impresa.
Le stesse università sono spesso laboratori di burocrazia. Ho letto una ricerca dalla quale risulta che un
sacco di giovani imprenditori é oramai rassegnato: per la ricerca, guarda alle università straniere e,
soprattutto, alle grandi aziende. Chiedete poi alle donne quale sforzo bestiale debbono sopportare per
sventare come madri la crescita-zero della società e, allo stesso tempo, modernizzare fino in fondo
l’economia attraverso l’occupazione femminile. Altro che imputare il piccolo é bello; anche qui,
l’urgenza competitiva numero uno viene dai servizi pubblici al lavoro e alla famiglia. Passa sulle
spalle
della donna l’epicentro della qualità dello sviluppo. Ciascuno faccia la propria parte (nelle retrovie)

invece di piagnucolare incolpando chi si fa un mazzo così (in prima linea), dai fondatori di ieri fino
agli eredi e ai manager di oggi. Per vitalità infatti il serbatoio del Nordest risulta ancora ben rifornito,
come attestano gli ultimissimi riscontri. Il Trentino-Alto Adige ad esempio ha in percentuale il record
nazionale di aziende che decidono di affrontare il mercato mettendosi assieme.
Il Friuli-Venezia Giulia ha il record nazionale di giovani imprenditori con meno di 30 anni.
Il Veneto delocalizza ovunque, a Est come a Sud, ma contemporaneamente attira investimenti: sul suo
territorio, sono ben 135 mila i dipendenti di imprese con sede fuori dal Veneto. E proprio mentre la
Cina sconta l’isolamento da epidemia, gli imprenditori ribadiscono di considerare la Cina il loro
convinto futuro. Nessun alleluia, beninteso. Il prof. Giorgio Brunetti, della Bocconi, considera
un brutto segno per il Nordest che un Del Vecchio porti a Milano le cose pregiate di Luxottica tenendo
la fabbrica ad Agordo. Solo che un conto sono i problemi razionali, un conto sono le sindromi da
declino. Non esiste sviluppo rettilineo, senza sfide e agguati. E’ nano soltanto chi si sente tale. E il
nano non va confuso con il piccolo d’impresa, dimensione culturale questa che aspira al grande ma
senza complessi, sapendo di rappresentare il capitalismo di massima socialità.