2003 marzo 31 Donne Nicole Kidman
2003 marzo 31
LUNEDI’ 24
Donne
Nicole Kidman, 35 anni, australiana, premiata come miglior attrice 2003:” L’Oscar è un evento
frivolo, considerato il momento che stiamo vivendo. Ma bisogna accettare la contraddizione.” (da
“Repubblica”)
Jessica Lange, 53 anni, attrice statunitense: “ Mi sento imbarazzata di essere americana.” (da
“L’Espresso”)
Renata Pisu, giornalista:” Un antico proverbio giapponese dice:”Il ciliegio è il primo tra i fiori,
come il guerriero è il primo tra gli uomini.” Ho capito il senso di questo paragone quando sono
andata in visita al Tempio di Yasukuni, a Tokyo, dove si onorano i caduti di tutte le guerre. Accanto
all’immagine di un kamikaze, un ragazzo di 17 anni, morto il 20 aprile del 1945, era riprodotta la
lettera inviata alla madre prima di salire sul suo aereo-bara per andare a schiantarsi, bomba umana,
contro una portaerei americana. Nella lettera stava scritto:”Cara madre, com’è dolce la primavera
per me da quando so che cadrò puro come un fiore di ciliegio.” ( da “ D”)
Ana Botella Aznar, 50 anni, avvocato di Madrid, prima di 13 figli di una cattolicissima famiglia e
moglie del primo ministro spagnolo schieratosi con l’America:” Mi rifaccio al detto cristiano,
diamo a Cesare quel che è di Cesare. La sfera religiosa non riguarda la politica.” (da “Io”)
Rachel Pease, 24 anni, incinta di tre mesi, scrive al marito Nicholas militare americano in Iraq:”
Non so se sarà maschio o femmina. Il dottore ha detto che dovremo aspettare lo scadere delle 20
settimane per saperlo con esattezza. Torna presto, ti amo con tutto il cuore.” ( dal “Corriere”)
Miriam Mafai, 77 anni, giornalista: “Il terrorismo è un cancro.” (da “Grazia”)
MARTEDI’ 25
Guerre
“Romani e Sanniti si schierano in ordine di battaglia. Tra i due eserciti v’era ormai un piccolo
spazio e gli uomini restavano fermi. Da nessuna delle due parti v’era la voglia di combattere, e se ne
sarebbero andati in direzioni opposte senza colpo ferire, se non avessero temuto che l’altra parte
inseguisse quella che si ritirava. Il combattimento tra quegli uomini che non volevano saperne e che
tergiversavano cominciò da sé, pigramente, con un grido incerto e non unanime.” ( 294 avanti
Cristo, dalla “Storia di Roma” di Tito Livio di Padova)
MERCOLEDI’ 26
Petrolio
Dio + petrolio = Bush. Se prendessi alla lettera buona parte dell’informazione di marzo, dovrei
sintetizzare il presidente americano con una formula che sommi missione a colonialismo
energetico.
Da un lato, Bush incarnerebbe una specie di pastore texano, tutto preghiere e ranch, che si considera
il Bene al cospetto del Male e che accompagna il suo fervente Dio benedica l’America con il
parallelo Dio stramaledica Saddam. Ma allo stesso tempo il presidente assomiglierebbe invece a un
gestore globale di pompe di benzina interessato esclusivamente al prezzo del barile di petrolio.
Insomma, il Dio della Casa Bianca sarebbe nient’altro che un petroliere . Bibbia & Borsa.
Il bello è che mai come adesso gli esperti danno il petrolio per obsoleto o quasi. La prima ragione: il
futuro è il gas naturale non più l’”oro nero”. La seconda: c’è sempre più petrolio nel mondo e
dunque avrebbe poco senso organizzare costosissime guerre per presidiarlo .
Una decina di anni fa le stime indicavano giacimenti per 900 miliardi di barili. Ora sarebbero saliti
a oltre mille miliardi e già si ipotizzano riserve per tre miliardi di barili. Ce n’è per tutti, anche se il
mondo aveva nel 1990 un fabbisogno di 77 milioni di barili al giorno mentre saranno 120 milioni
nel 2030.
Non solo. Il Pentagono (dipartimento della difesa americana) ha comunicato al Congresso
(parlamento degli Stati Uniti) che la guerra in Iraq costa 300 milioni di dollari al giorno, su per giù
seicento miliardi di nostre vecchie lire! Nemmeno ridotta alla sua più arida contabilità la religione
del petrolio appare oggi l’affarone che si crede: vale ancora tanto, beninteso, ma non abbastanza per
spiegare una guerra come questa.
No. L’equazione Dio + petrolio = Bush trascura del tutto l’America che, prima del petrolio e prima
di Dio, svela oggi l’inedita miscela di sentinella del mondo e di bersaglio unilaterale, di 11
settembre e di paura preventiva, di Grande Potenza e/o Grande Impotenza.
Nel nome del padre (Bush senior), del figlio (Bush junior) e del dio petroliere: detto così, sarebbe
soltanto uno slogan anti-americano.
GIOVEDI’ 27
Previti
Dopo l’Iraq, nel Tg compare Previti. Preferisco un elicottero Apache.
VENERDI’ 28
Americani
Un mese fa l’ 87 per cento dei ragazzi americani dichiarava di ignorare dove cavolo si trovasse
l’Iraq. Gli sguardi dei primi giovanissimi prigionieri americani confermano il sondaggio.
SABATO 29
Infantilismi
L’opposizione: dalle basi Usa in Italia non dovevano partire i parà americani destinati all’Iraq.
Berlusconi: quei parà sono andati in Iraq per scopi umanitari. Doppio infantilismo.
DOMENICA 30
Alpini
E’ falso che l’Italia non sia in guerra. Lo è, anche se non in Iraq. Con gli alpini è in guerra in
Afghanistan, che non è uno Stato nazionale all’europea ma un compromesso armato di tribù e di
etnie.
La distinzione tra guerra, pace, democrazia, libertà, ha scarso peso da quelle parti. Là si
fronteggiano la presunta pace e la guerra endemica, con le montagne ideali per l’imboscata e con i
talebani parte latente del paesaggio.
Ieri quartiere generale del terrorismo, oggi l’Afghanistan è base dell’anti-terrorismo. Molto meglio
adesso che prima, ma resta sempre zona minata dal fondamentalismo islamico.
Non c’è prudenza che tenga: gli alpini sanno benissimo che cosa stanno rischiando. La pelle, 24 ore
su 24 come ogni soldato in guerra, con le supplementari incognite afgane procurate da un nemico
per bande e guerrigliero al quale la cavalleresca Convenzione di Ginevra non passa nemmeno per
la testa.
Gli alpini, si diceva una volta, combattono due guerre: contro il nemico e contro la montagna. Oggi,
dopo l’ 11 settembre terrorista, respirano nell’aria un nuovo virus ostile senza fissa dimora.
Nonostante tutto, osservo in loro un retroterra davvero speciale. Passano le Grandi e le piccole
guerre eppure, non si sa come, l’alpino conserva intatta nel tempo la sua mostrina.
Figlio del territorio, il corpo degli alpini ragionava sempre da volontario anche quando precettato.
La cartolina di precetto sembrava partire dagli stessi aspiranti alpini più che dall’ ufficio leva del
ministero.
Ho un’idea fissa. Che gli alpini si portassero al fronte anche casa e masserizie, sentendosi difensori
della patria familiare prima che della patria comune. Possono ora disporre di mappe satellitari, di
visori notturni e di fucili da fantascienza, ma senza che il loro codice genetico si modifichi di un
millimetro nel nostro immaginario.
E’ un miracolo di sopravvivenza culturale, particolarmente palpabile a Nordest. Per merito della
lettura della “Guerra sugli Altipiani 1915-1918” curata da Mario Rigoni Stern, credo adesso di aver
trovato nelle 650 pagine anche le parole giuste per spiegarmi meglio.
Valdese, ufficiale degli alpini sul Grappa e poi celebre narratore della guerra, Piero Jahier scrive
dalla conca dell’Astico:” Appena passiamo in seconda linea non ci par vero di riprodurre un po’ di
vita di casa”.
E subito chiarisce perché:” Il battaglione alpino è una famiglia di montanari degli stessi paesi,
rinsanguata da figli, fratelli, nipoti. Questa famiglia porta il nome delle acque e delle montagne di
casa. Alpini cambiati di battaglione ne sono stati così disperati da fare più giornate di montagna per
tornare al loro vecchio.”
Sull’Astico o a Kabul, sempre alpini sono. Come un vecchio battaglione, senza retorica al seguito.
——- (citazione a parte)
Elsa Morante da “ La storia”, ed. Repubblica.
“Aveva visto sfilare, da Piazza Venezia lungo il Corso, una processione sterminata di ‘camioni’
stracarichi di soldati germani tutti neri di fuliggine e sporchi di sangue.La gente li guardava e non
diceva niente. Loro non guardavano nessuno.
La sera del 4 giugno 1944, per la mancanza della luce elettrica, tutti si coricarono presto. Il
Testaccio era calmo sotto la luce lunare. E nella notte, gli Alleati entrarono a Roma. D’improvviso
si levò un grande clamore per le strade, come fosse Capodanno. Le finestre e i portoni si
spalancarono, s’incominciarono a sciogliere le bandiere. Non c’erano più i Tedeschi nella città.
Dall’alto e dal basso si sentiva gridare: Viva la pace!! Viva l’America!!”