2003 marzo 31 Sport e tv
2003 marzo 31 – spot in tv
“Fine di tutto” è il titoletto delle ultime pagine del romanzo Il gattopardo. Fine di tutto sembra
oggi anche il capitolo di quel grande romanzo popolare che è il calcio, apparentemente
stritolato dai debiti ma in realtà in preda a una mutazione genetica. State pur certi che, di riffe o
di raffe, un po’ di miliardi salteranno fuori prima o poi; resta invece del tutto incerto il piano
che hanno in testa per sottrarsi al vivere alla giornata o, vedi la Fiorentina, per non ripartire in
massa dalla C2 o giù di lì.
C’è chi continua a pensare imperterrito che la causa di un sacco di guai siano i calciatori
stranieri. Ora, che siano un’orda è fuori discussione, a patto di ricordare che fuori mercato non
sono i 15 assi super pagati ma la pazzesca media degli ingaggi garantita a un esercito di
calciatori che non sono in grado di conquistare uno spettatore pagante né un abbonato in più né
un euro in diritti televisivi. Del Piero fa cassetta per sé e per gli altri, Gattuso neanche per se
stesso.
Questo degli stranieri è un tema nemmeno originale. Nel 1951 il goleador più raffinato
dell’intera storia del calcio italiano, cioè Peppino Meazza, scriveva sul settimanale “ Lo sport”
che il modulo tattico detto “sistema” non funzionava al meglio in Italia perché l’intero
quadrilatero di centrocampo, costituito di due interni e di due laterali, era monopolizzato da
calciatori d’importazione! Fanno spettacolo ma non scuola, lamentava Meazza.
C’è poco di davvero nuovo sotto il sole, perfino il cosiddetto tetto agli stipendi.La Federazione
ne impose uno di tassativo addirittura nel 1939. In serie A non si poteva guadagnare più di 55
mila lire all’anno, che potevano arrivare massimo a 60 mila con l’aggiunta dei premi-partita.
Cose da non credere.
La vera rivoluzione sta nella natura stessa del calcio, il quale non è più lo stesso ma non è
ancora qualcos’altro. Il calcio ha vissuto per un’eternità su due consolidate retoriche, entrambe
a sfondo pseudo etico entrambe andate in frantumi.
La prima delle due diceva più o meno così: il calcio sarà pieno di eccessi però, attraverso la
schedina del Totocalcio, permette di “mantenere”- si diceva proprio così – tutto lo sport,
soprattutto gli sport cosiddetti minori che non hanno una lira ma danno tanto valore formativo
aggiunto. L’ architettura è stata rasa al suolo: la schedina pare ingiallita come le raccolte delle
vecchie Domeniche del Corriere; il calcio non ce la fa a finanziare nemmeno se stesso; lo sport
di base, che sarebbe il solo autorizzato a chiamarsi ancora “sport”, pratica oramai l’elemosina.
La seconda retorica del calcio riguardava le squadre di provincia, quasi sempre contrapposte
agli squadroni come esempio di un po’ di misura, di una qualche sobrietà e di una resistenza
almeno parziale all’invasione dei schèi. Anche questa fase passa in archivio: le tv private a
pagamento intendono, come dice la parola, pagare i diritti in base ai telespettatori che una
squadra procura , non con la mano sul cuore. E gli stessi grandi Club farebbero volentieri a
meno delle provinciali, a vantaggio di un super-campionato, magari europeo.
Niente assomiglia minimamente al recente passato, e tuttavia il deficit viene dalla mancanza
più di idee che di denaro. Fare del calcio un’industria dello spettacolo non significa ad esempio
gestire bilanci falsi, perennemente in rosso. Prendere campioni stranieri non vuol dire chiudere i
vivai.
Lo stesso mercato lo fanno i presidenti, non una maligna divinità, come ricorda loro da decenni
ma inutilmente l’avv. Campana, presidente dell’associazione calciatori. Ci sarebbe bisogno di
una gigantesca auto-regolamentazione, con tutte le cifre vere sul tavolo, dalle quali ripartire.
Pagando il canone sono anch’io come tutti un piccolo azionista della Rai, ma almeno su questo
punto sto grosso modo con i presidenti. Per essere credibile nel dimezzare o quasi il prezzo del
calcio, la Rai dovrebbe prima cominciare a ripulire i suoi bilanci dai costi della tv spazzatura,
dei giochi da vomito, dei programmi “deficienti”. Tolti tg, film, sport e Quark, di guardabile
resta ben poco.
Il fatto è che oggi il calcio è la tv. Senza tv non sarebbe più in grado di esistere,esattamente
come la Formula uno. Se avesse i bilanci in ordine, potrebbe almeno trattare senza il cappio al
collo ma una gestione da inguaribili “ricchi scemi” ha ridotto al minimo la reputazione dei
Club. Ben gli sta.